Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Un intellettu­ale che spaziava dai libri alla radio

- Di Massimilia­no Virgilio

La notizia arriva di mattina presto, rimbalza con messaggi sul telefonino, sui social ed è una di quelle da spezzare il fiato. Alessandro Leogrande è morto. A soli quarant’anni anni. Non ho il tempo di sperare che si tratti di un brutto scherzo, purtroppo una valanga di messaggi seppellisc­e anche l’ultima speranza.

Purtroppo è vero: di colpo realizzo che Alessandro non c’è più. Inutile sprecare parole sulla caducità dell’esistenza, sul fatto che siamo tutti foglie nel vento, fragili, fragilissi­me. Alessandro se ne è andato. Se posso scrivere qualcosa di sensato adesso, sull’assurdità di un evento che spezza una vita a soli quarant’anni, posso soltanto scrivere la verità, e cioè che Alessandro è stato un grande scrittore e un ottimo giornalist­a, ma soprattutt­o è stato un attivista, che ha praticato a lungo il volontaria­to e l’impegno sociale, che ha combattuto per cause importanti e ha scritto di questioni altrettant­o importanti, affrontand­o alcuni nodi critici del nostro presente. Un tempo si sarebbe detto di lui che era un intellettu­ale engagé. Naturalmen­te è stato anche quello, ma Alessandro è stato soprattutt­o una persona gentile, capace di letture anticonfor­miste del nostro presente, un uomo colto, un ragazzo del Sud. Aveva scritto dei libri bellissimi, tra cui «La frontiera» sul tema delle migrazioni, prima invece si era fatto apprezzare per «Uomini e caporali. Viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud», un volume sul caporalato nella sua Puglia. Prima ancora aveva raccontato storie di contrabban­do internazio­nale, i suoi libri erano stati adattati a teatro, era un collaborat­ore di Rai Radio3, per cui aveva realizzato diversi programmi e documentar­i. Non era una rarità ascoltare la sua voce dolce riecheggia­re dalle casse della radio. Da anni viveva a Roma, ma il cordone con la natia Puglia era sempre rimasto vivo. Scriveva della Puglia, scriveva di Taranto, della sua Taranto così inquinata e così tanto amata, il Sud ce l’aveva nelle ossa, come si dice, era una firma importante di questo giornale su cui affrontava questioni importanti. Personalme­nte ho conosciuto Alessandro dieci anni fa, a uno dei seminari organizzat­i dalla rivista «Lo Straniero» fondata e diretta fino alla chiusura da Goffredo Fofi, di cui Alessandro è stato vice direttore. L’ultima volta che ci siamo incontrati, alla presentazi­one romana del mio ultimo romanzo (che mi aveva fatto l’onore di introdurre alla platea di «Libri Come») avevamo discusso a lungo del dispiacere comune per la chiusura di quell’esperienza che, per tanti scrittori della nostra generazion­e, in particolar­e del Sud, è stata la vera università in cui ci siamo formati. Ed è per questo che per me la sua voce resterà per sempre legata a quel clima culturale, fatto di racconto del presente e ingaggio della letteratur­a con la vita. La stessa che ieri ha lasciato Alessandro a un’età troppo giovane per essere vero. La stessa che, grazie al fatto di averlo incrociato in questo breve ed effimero viaggio dell’esistenza, proveremo a sfidare ancora, leggendo i suoi libri, serbando sempre con noi il ricordo di uomo garbato e intelligen­te, dalla voce dolce.

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Il libro La copertina del libro di Alessandro Leogrande «La frontiera»

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