Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Leggeva la realtà e la spiegava con calma ai lettori

- Di Angelo Rossano

Ogni incontro con Alessandro Leogrande era un abbraccio. Ogni chiacchier­ata una lezione. Ogni articolo un dono per questo giornale e per i suoi lettori. Un dialogo lungo, cadenzato, vario quello che Alessandro ha tenuto con la comunità del Corriere del Mezzogiorn­o: redazione e lettori.

Un confronto fatto di visite, incontri, a volte solo di rapidi messaggi scambiati sul cellulare per concordare interventi, commenti, editoriali. Magari, a volte, per rubargli un’idea o chiedere un parere. E sempre arrivava, con calma, il suo contributo: mai strillato, sempre utilissimo. I temi che sapeva e voleva trattare erano tanti, diversi: la sofferenza della sua città, Taranto, con i suoi dilemmi; l’angoscia di chi migra; lo sfruttamen­to nei confronti di chi lavora. «Si occupava sempre di come stavano gli altri – rifletteva ieri commosso un collega – e noi ci siamo dimenticat­i di chiedere come stesse lui». Tanti argomenti, ma un unico registro, un filo conduttore capace di tenere insieme le perle dei suoi scritti: e questo filo era la cultura, intesa come capacità di capire ciò che accade entro gli scenari in cui accade. Alessandro sapeva dare un nome alle cose, sapeva mettere l’ordine dei ragionamen­ti nel disordine degli avveniment­i. Il suo ultimo articolo sul Corriere è uscito sabato scorso: parlava del ponte fragile dell’integrazio­ne, di «case alveare e vite dimezzate», come lo titolammo. Solo pochi giorni prima, il 14 novembre, un altro intervento importante (ripreso e citato ieri anche dall’assessore regionale alla Cultura, Loredana Capone): «L’identità pugliese guarda al futuro», una riflession­e che invitava ad andare «oltre le radici della storia», perché «l’identità – ricordava Alessandro - non è fatta solo di radici, ma anche di ali». Alessandro ha iniziato la sua lunga collaboraz­ione con il Corriere del Mezzogiorn­o appena 25enne. Giovanissi­mo. Eppure, come ha ricordato un altro collega, «era capace di spiegare il vecchio mondo ai suoi coetanei e a quelli ancora più giovani, e quello nuovo ai vecchi». Se non è questa cultura, allora cos’è? Anche per questo lo prendevo in giro ad ogni tornata elettorale: «Allora, ti candidi? Fai tu il sindaco di Taranto? Solo la cultura può salvarla». E lui replicava con un ragionamen­to sul citismo 2.0, sull’alternativ­a impossibil­e e sul gorgo della crisi dell’Ilva che aveva risucchiat­o la sinistra. E ne veniva fuori un altro editoriale, un altro ragionamen­to utile a capire cosa si stesse muovendo intorno a noi.

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