Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
ILVA, UN DESTINO TRA DUE IPOCRISIE
Il siderurgico di Taranto continua a tenere banco nei media e nell’opinione del Paese, con un andamento ora oscuro e polemico, ora – in apparenza – più negoziale e aperto. In realtà le cose sembrano ancora più confuse di prima, in quanto l’idea di un non ben precisato “tavolo” di trattativa, per alcuni osservatori dovrebbe ammorbidire gli animi, mentre per altri potrebbe creare un nuovo indurimento, se si tiene conto dello scenario politico generale, sul quale non sarebbe strano scoprire un banco di scommesse. Intanto il ricorso al Tar voluto da Emiliano, resta, e nello stesso tempo è dipendente e indipendente dal viaggio in Puglia del ministro Calenda, per ragioni che si possono facilmente prevedere. Innanzitutto il Tar andrà avanti nel suo lavoro, com’è ovvio, e solo il ritiro del ricorso da parte del presidente della Puglia potrebbe accendere una nuova alba. Ma quale alba, se proprio quell’azione giudiziaria ha spinto Calenda a scendere in Puglia? La rinuncia di Emiliano sarebbe come ammettere di aver scherzato, e perdere da subito il braccio di ferro con Roma; questa non è una vertenza di lavoro dipendente, dove lo sciopero è sospeso se la controparte tratta. In secondo luogo, ai fini dello stesso tavolo negoziale, il ministro si è mosso in proprio, o su mandato del capo del governo? I dubbi si affollano, compreso quello sull’unità o sull’incertezza nel fronte fra Emiliano e il sindaco ionico Melucci. Si aggiunga che i termini di un confronto fra l’esecutivo nazionale e quello regionale non sono chiari: in cambio di che Emiliano ritirerebbe il ricorso? Il governo è al capolinea, al punto che la legge sul cosiddetto ius soli è stata rinviata comunque alla prossima legislatura; facile dedurne che impegni a lungo termine, come quello necessario sulla ferriera tarantina, non possono essere assunti senza una buona dose di – ben visibile – ipocrisia politica, nella migliore delle ipotesi. Prevale dunque, l’impressione che qui ognuno stia giocando la sua partita. È difficile che il presidente regionale si metta in attesa, se già esibisce muscoli giuridici; poi si vedrà, mentre il governo chiude con gli auguri di rito. E forse neanche Calenda – responsabile del settore – vorrà andare al voto come uno che ha perso la giocata contro un pezzo del sud. Siamo di fronte a due forme di protagonismo, ma in campo dopo la campana dell’ultimo giro; alla fine, resta solo l’incertezza dei lavoratori e anche di quell’acciaio ufficialmente “italiano”, con polveri e miasmi che si fermano solo a Taranto, però, e colpiscono duro, quando il mare manda i venti, cioè sempre o quasi.