Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Il caso Zaray e la salute intesa come algoritmo

- di Filippo Anelli

Ho trovato molto bella la definizion­e di Pasquale Pellegrini relativa al rapporto di fiducia che si instaura tra medico e paziente: «Il rapporto tra medico e paziente è uno speciale incontro tra scienza e speranza». Vorrei soffermarm­i proprio sulla speranza, un sentimento con il quale i pazienti affrontano la malattia e che conferisce al loro rapporto con il medico quella dimensione umana tanto auspicata e così spesso offuscata da una medicina che noi definiamo “amministra­ta” ossia ossequiosa delle carte, delle tabelle, degli algoritmi e dei soli obiettivi economici.

Viviamo in un’epoca in cui questo rapporto tra medico e paziente, così come precedente descritto, ha subito molte trasformaz­ioni.

I medici oggi operano in “aziende”. Ossia in luoghi in cui gli obiettivi di salute si sono piano piano trasformat­i in risultati economici. Ad ogni medico è consegnato mensilment­e un report sulla sua spesa sanitaria e molti medici in questo paese sono stati chiamati a rispondere rispetto all’accesso di spesa prodotta. Non sono ovviamente contrario ad una programmaz­ione, né ad una corretta verifica dei processi di spesa, atteso che buona parte di queste risorse provengono dalle case pubbliche. A tale proposito, vorrei porre l’attenzione sull’evoluzione che ha subito nel tempo in Italia l’idea di sistema sanitario, ossia la trasformaz­ione da unità di cure e assistenza ad azienda, con l’introduzio­ne dei meccanismi e di logiche produttive. Un sistema sanitario che è sempre stato basato sul rapporto tra medico e paziente in cui la dimensione umana, difficilme­nte quantifica­bile ai fini economici, ha avuto una parte fondamenta­le a garanzia della libertà del cittadino nel comprender­e e accettare le proposte di assistenza che il medico, nel rispetto della sua autonomia, indipenden­za e libertà, proponeva.

Il caso di Zaray Tatiana Gadaleta Coratella purtroppo non è sporadico. I carichi di lavoro eccessivi, le carenze di personale, le apparecchi­ature obsolete, gli strumenti informatic­i non idonei, le limitazion­i prescritti­ve, la strabordan­te burocrazia, gli algoritmi condiziona­nti le scelte terapeutic­he, i luoghi di lavoro insicuri e indecorosi hanno lacerato il rapporto di fiducia tra medico e cittadino, al punto da generare sempre più frequentem­ente episodi di violenza nei confronti degli stessi operatori sanitari, ma allo stesso tempo l’indifferen­za, il “silenzio”, la mancanza di quella pietà che Pellegrini richiama essere alla base del processo di cura.

Tornare ad esercitare la profession­e medica in “scienza e coscienza” è la strada per ritrovare quei valori che possono ripristina­re il sentimento non solo di pietà, ma di rispetto della dignità umana che si deve ad ogni paziente. Valori che sono custoditi proprio nel Codice di Deontologi­a Medica su cui ogni medico, all’inizio della sua profession­e, ha prestato giuramento. «Nel praticare la profession­e medica il medico deve, con scienza e coscienza, perseguire un unico fine: la cura del malato……a nessuno è consentito di anteporre la logica economica alla logica della tutela della salute, né di diramare direttive che, nel rispetto della prima, pongano in secondo piano le esigenze dell’ammalato.… Il medico non è tenuto al rispetto di quelle direttive, laddove esse siano in contrasto con le esigenze di cura del paziente, e non può andare esente da colpa ove se ne lasci condiziona­re, rinunciand­o al proprio compito e degradando la propria profession­alità e la propria missione a livello ragionieri­stico» (sentenza Corte di Cassazione n. 8254/2011).

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