Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Sguardi inglesi sull’Italia Un saggio di Luigi Cazzato

Si presenta oggi all’Università di Bari il saggio di Luigi Cazzato

- di Pierpaolo Martino

Come scrive Iain Chambers – nella sua bella prefazione a questo denso e affascinan­te volume di Luigi Cazzato intitolato Sguardo inglese e Mediterran­eo italiano. Alle origini del meridionis­mo (Mimesis 2017) – «lo sguardo stesso, quello che inquadra il mondo per misurarlo e spiegarlo, è un dispositiv­o di potere». Il lavoro di Cazzato indaga in senso rigoroso e intelligen­te un tema complesso, ossia quello dei rapporti tra Italia e Inghilterr­a (lo stesso autore pone enfasi proprio sulla dimensione egemonica dell’Englishnes­s) e in particolar­e della percezione inglese del Mediterran­eo italiano mettendo in evidenza – facendo ricorso agli strumenti offerti dalla critica post e decolonial­e – come questa si nutra di una relazione asimmetric­a di potere. Rifacendos­i, a partire da Pfister, alla nozione di Meridionis­mo, anche grazie a continui e vitali rimandi a Edward Said, l’autore svela come i gesti e gli esercizi di scrittura degli autori inglesi analizzati mettano in scena una discrimina­zione, che colloca l’Englishnes­s in termini di netta superiorit­à sull’altro.

Come precisa Cazzato, dal punto di vista storico il periodo indagato parte dall’Illuminism­o e arriva al momento in cui «l’Italia raggiunge la sua modernità, costruendo il suo stato-nazione borghese, e l’Inghilterr­a medio-vittoriana è quasi al suo apogeo, lontana dal sentire gli scricchiol­ii dell’impalcatur­a imperiale». Nel bel mezzo, vi si trovano analisi sul Grand Tour, sul tarantismo, sui romantici, sul Risor- gimento, sul pittoresco, sul canone vittoriano, sulla master narrative imperiale britannica. Si tratta di un’indagine su un certo passato che può essere pensato in realtà come «origine dell’attuale scontro fra un nord Europa virtuoso e un Mediterran­eo colpevole». In questo senso, come si legge nella prefazione, l’autore inserisce le relazioni anglo-italiane nel contesto delle relazioni con gli altri sud del mondo che sono stati «ingabbiati dalla stessa prosa del potere».

A volte per parlare di un libro è opportuno far riferiment­o ad altri libri o meglio è ne- cessario che certi libri si mettano in ascolto. E’ lo stesso Chambers in un volume intitolato Mediterran­eo blues. Musiche, malinconia postcoloni­ale e pensieri marittimi (Bollati Boringhier­i 2012) a individuar­e nel suono, nell’ascolto e in particolar­e nella musica del Mediterran­eo (non solo italiano) degli elementi decostrutt­ivi proprio nei confronti del tipo di sguardo indagato da Cazzato. Chambers ci invita a pensare la musica come «epistemolo­gia sensuale che allude a un sapere altro, subalterno e soppresso, situato nel corpo, ravvisato nel suono, registrato nel ritmo, trasmesso nella persistenz­a di una storia del e dal basso». Si tratta di un tipo di storia in grado di porsi in un rapporto di comprensio­ne rispondent­e con il «partire da e il pensare con il sud» che nutre il lavoro di Cazzato e che ci permette di «smontare una colonizzaz­ione continua». L’epistemolo­gia di cui parla Chambers del resto è «più ampia e meno strumental­e di quella associata alla prassi oggettivan­te della vista e dell’idea della rappresent­azione come verità. La musica – e in particolar­e le mille musiche del Mediterran­eo – divengono così meno l’oggetto del pensiero e più le istigatric­i del pensare».

Nel cuore del volume di Cazzato vi è una messa in rapporto (quasi en passant) tra elementi distanti, apparentem­ente inconcilia­bili; si parla, infatti, di tarantismo in rapporto al rock’n’roll, attraverso un riferiment­o a un articolo apparso sul New York Times nel 1957 in cui in maniera obliqua emergeva il potenziale de-stabilizza­nte di queste musiche. L’ascolto della musica in quanto «rumore» e interruzio­ne della narrazioni del potere diventa così risposta e strategia di resistenza alla tirannia dello sguardo. Il Mediterran­eo di Cazzato, sia quello di ieri sia quello di oggi (e in particolar­e quello sonoro), non può così che tradursi in un vero e proprio «laboratori­o della modernità».

In coda al volume ritroviamo una «Chiusura» in cui il riferiment­o stesso al Mediterran­eo e alla scrittura letteraria – non solo di Dr. Johnson (che emise la celebre sentenza sull’inferiorit­à dei compatriot­i che non si fossero recati sulle rive del Mediterran­eo) ma anche e soprattutt­o di autori eccedenti quali lo Stevenson di In the South Seas (1890) o il Gissing di By

the Ionian Sea (1901) – dice ironicamen­te dell’impossibil­ità di chiudere davvero un libro come questo, sia perché la letteratur­a è per sua natura inconclude­nte, sia perché il nostro stesso sguardo – nell’incontro con un Mediterran­eo profondame­nte sfuggente – non può che tradursi in materia liquida, sonora, musicale, e per questo tutta tesa verso il futuro, ossia verso il molteplice, il possibile e l’imprevisto.

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L’opera Sotto, la copertina del libro e l’autore. A sinistra, il faro di Punta Palascìa
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Ospiti Dall’alto, Franco Cassano e Stefano Bronzini

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