Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Il Pipistrello di Strauss alla barese
L’operetta di Strauss per la prima volta al Petruzzelli, tra calici di champagne (in scena) e applausi
Lo champagne, «il re dei vini», può creare molti problemi ma altrettanti ne risolve. Così, libando e cantando, si congeda l’affollata compagnia del Pipistrello, l’operetta di Johann Strauss figlio («creata» a Vienna nel 1874) che chiude in queste sere al Petruzzelli la stagione lirica 2017. Per la prima volta in scena a Bari, il capolavoro teatrale di un compositore passato alla storia soprattutto per i suoi magnifici valzer non ha richiamato più pubblico del solito, anzi. Qualche vistoso buco in platea e degli applausi nei limiti della «sobrietà» hanno salutato una prima volta che certo passerà agli annali, ma forse non alla storia. Pure, lo spettacolo allestito da Daniel Benoin poco più di un anno fa per il teatro Verdi di Trieste (oggi ripreso dal Petruzzelli) mette in mostra tutti gli elementi canonici del genere (bevute, equivoci, intrighi amorosi, feste e balli) con un tocco di raffinata stilizzazione che non sottrae nulla ai colori della scena e agli eccessi di scene e costumi, firmati rispettivamente da Jean-Pierre Laporte e Nathalie Bérard-Benoin: animali impagliati a grandezza naturale come elementi d’arredo, vertiginosi abiti da sera e quant’altro. E azzeccate sono alcune idee registiche, come quella di proiettare sulla parete di fondo, durante il secondo atto, immagini adatte a contestualizzare l’azione, o quella di far entrare gli invitati alla festa a casa del principe Orlofsky direttamente dalla platea, facendoli camminare rumorosamente in mezzo al pubblico.
La compagnia di canto è di buon livello, capace di far vivere la vicenda anche sul piano della recitazione e non solo su quello musicale; fra i tanti interpreti del cast della «prima», che nel corso delle repliche si alterna con un secondo cast, brillavano senz’altro la croata Marigona Qerkezi nei panni di Rosalinde, il lettone Valdis Jansons in quelli del di lei marito fedifrago, Gabriel von Eisenstein, e la romena Valentina Farcas nel ruolo della di lei cameriera personale, Adele.
Una compagnia multinazionale forte di tedeschi, austriaci, turchi e italiani, quasi a voler rappresentare tutti i popoli del vecchio impero asburgico (e non solo). Trasportata la vicenda, in omaggio alla produzione, in una Trieste ancora austriaca di fine Ottocento, quindi senza grandi scossoni rispetto all’ambientazione immaginata da Strauss, ha acquistato senso anche la scelta di alternare sul palcoscenico l’italiano al tedesco, a sottolineare la convivenza di più mondi in una società cosmopolita. Per non parlare del buffo siparietto in cui Eisenstein e il direttore del carcere, Frank (il viennese Horst Lamnek), durante il ricevimento a casa del principe Orlofsky, si fingono entrambi francesi impegnandosi in una conversazione a buffi monosillabi.
Sul palco c’era pure il barese Antonio Stornaiolo nel ruolo (solo parlato, e con l’accento ben marcato) del carceriere Frosch, emigrato in cerca di fortuna nell’impero asburgico ma con tanta nostalgia della sua via Sparano. Così come capita spesso nelle città dove Il pipistrello va in scena (e succederà anche alla Scala a gennaio, con il milanesissimo Paolo Rossi nei panni di Frosch), Stornaiolo ha incarnato l’esprit du pays con un bel senso della misura e una sobria gestualità marionettistica alla Totò.
Certo, la trama è quello che è; un puro pretesto per rappresentare la volubilità dei moti del cuore e degli umani desideri, con il velo della malinconia che si poggia appena sull’alcolica ebbrezza degli umani. Ciò che nel Mozart delle Nozze di Figaro è sublime commedia umana, nell’operetta diventa commedia e basta, forse anche troppo umana. Ma la musica di Strauss è raffinatissima; tutta la civiltà musicale viennese messa al servizio della «leggerezza» e danzata a passo di valzer. Molto sciolta la direzione di Nir Kabaretti, buona la prova di coro e orchestra. Da applausi, appunto, ma senza esagerazioni.