Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Lenoci e l’omaggio al maestro Lacy
Il musicista Gianni Lenoci ha pubblicato «No Baby», omaggio a Steve Lacy
Questo è stato un anno davvero speciale per Gianni Lenoci (nella foto sotto), non solo per l’ormai abituale prolificità discografica ma per la straordinaria qualità delle produzioni pubblicate negli ultimi mesi. Dopo l’album realizzato al fianco di Pierpaolo Martino e Francesco Cusa nel gruppo Machine 3 (Dystopia), dedicato alla rilettura in musica del 1984 orwelliano, e l’ora di musica totalmente improvvisata insieme allo stesso Cusa in Wet Cats, ecco ora un intenso e bellissimo omaggio a Steve Lacy (19342004) che esce per l’etichetta leccese Dodicilune: No Baby, realizzato con la cantante Tiziana Ghiglioni e il sassofonista Steve Potts, che di Lacy fu assiduo collaboratore. Lenoci invece si potrebbe definire un figlio spirituale di Lacy, un allievo che dal maestro ha tratto soprattutto ispirazione per quell’approccio alla materia sonora basato sull’assioma del «less is more», sulla sottrazione, sulla ricerca di un’essenza quasi aforistica di ascendenza molto orientale. Come haiku, i temi di Lacy - e quelli di Lenoci - non occupano interamente lo spazio sonoro ma vi «entrano» per vie laterali, oblique, allusive. Anche Tiziana Ghiglioni, pioniera del canto jazz in Italia, ha frequentato Lacy, e con lui e i suoi uomini realizzò nel 1987 il bell’album Somebody Special. Insieme, Lenoci e Ghiglioni affrontano ora alcuni enigmatici temi lacyani come No Baby e Bone, oltre a brani originali davvero splendidi come Turquoise e Fagan. Lenoci tira fuori dal suo pianoforte (per vie puramente manuali e meccaniche) timbriche e sonorità stupefacenti; Ghiglioni, dal suo canto, aggiunge calore, tenerezza e non sense, mentre Potts condisce il tutto con i suoi sassofoni (contralto e soprano) sempre un po’ asprigni. Come scrive Claudio Sessa nelle belle note di copertina, è musica da adulti, anzi «un rabbioso inseguimento d’amore. No baby, no baby, no no, baby baby, i tre protagonisti di quest’album si parlano e si cercano con la voce della grande poesia sonora del Novecento, tanto febbrile quanto d’acuta intelligenza». Anche i fantasmi di Ornette Coleman e Mal Waldron sono della partita, e forse - in un angolo - c’è anche la sagoma ineffabile di Morton Feldman, altro riferimento imprescindibile del Novecento americano.