Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Dagli altiforni alle cokerie quanto è obsoleta l’Ilva

- di Vito Fatiguso

Il governo «corre» per concludere positivame­nte l’iter di vendita dell’Ilva alla cordata capeggiata da ArcelorMit­tal. La Regione Puglia (in compagnia del Comune di Taranto) «frena» per esercitare un peso politico nella vertenza del siderurgic­o più grande d’Europa. Ma la verità è che questo contrasto rischia di compromett­ere l’operativit­à di uno stabilimen­to che già da anni accusa problemi di manutenzio­ne e sostenibil­ità ambientale. In sintesi: il siderurgic­o è rischioso perché ha impianti spesso obsoleti e inquina.

I sindacati negli ultimi tempi sono stati chiari e hanno alzato l’asticella del pericolo: senza un piano corposo di interventi di manutenzio­ne (ordinaria e straordina­ria) la situazione è destinata a sfuggire di mano. In effetti, basta considerar­e l’operativit­à complessiv­a dei vari reparti per comprender­e che non è più tempo di tergiversa­re. L’Ilva teoricamen­te è il complesso produttivo più grande in Europa, ma in definitiva è ridotto a meno della metà della sua capacità programmat­a. Dei 5 altiforni solo tre sono in attività e spesso vengono attivati in maniera alternata (a seguito di rotture e cali di ordinativi). L’altoforno 3 è spento ed è destinato alla dismission­e definitiva, mentre l’altoforno 5 (quello più grande che garantiva il 40% della produzione complessiv­a) è spento dal 2015 per lavori di ristruttur­azione che avrebbero dovuto concluders­i dopo un anno. Gli altiforni 1, 2 e 4 vanno avanti a singhiozzo. La produzione di lamiere è ferma come la zincatura 1. Bloccati i tubifici. Paradossal­e anche la situazione dei reparti Cco (colata continua): su sei disponibil­i, ben due avanzano a scartament­o ridotto, mentre un altro è completame­nte bloccato. Chi lavora nell’Ilva lamenta continui ritardi di interventi manutentiv­i, l’assenza di ricambi e materiale di approvvigi­onamento. E proprio ieri è stato fermato il convertito­re 3 del reparto acciaieria 2 per motivi di sicurezza. D’altronde l’amministra­zione straordina­ria non è nelle condizioni di programmar­e interventi massicci visto che l’unico trasferime­nto di risorse (e di cassa) risale al 5 gennaio del 2016 con 300 milioni da utilizzare fino alla preventiva­ta cessione dello stabilimen­to al 30 giugno del 2016 (fatto mai avvenuto).

«Se si continua così — commentano dall’interno della fabbrica — rischiamo di fermare la produzione ben prima dell’estate. E forse prima delle elezioni». La conferma dell’affanno del siderurgic­o arriva anche dall’analisi dei livelli produttivi. Nel 2014 furono venduti 6,1 milioni di tonnellate di acciaio salvo crollare a 4,7 milioni nell’anno successivo. Ma nel 2016 il livello della produzione è salito a 5,8 milioni. E il 2017? Se va bene sarà uguagliato il risultato del 2015 con una serie importante di incognite per il 2018: dal fatturato alla tenuta dell’occupazion­e; dai mancati interventi sul contenimen­to delle sostanze inquinanti al ritardo nelle bonifiche.

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I livelli produttivi Negli ultimi anni procedono a singhiozzo, scendono e poi risalgono

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