Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
QUEGLI OSPEDALI CHE NON CURANO
C’è una ricerca del Centro Studi della Cgil Bari sui «Bisogni sociali e welfare territoriale nella città di Bari» che ha inteso tracciare una sorta di mappa urbana dei bisogni del welfare allargato, partendo da una strategia di ascolto sistematico dei cittadini. Tra i diversi servizi considerati prioritari, le strutture sanitarie pubbliche - sia i grandi poli ospedalieri sia una rete diffusa di centri di medicina territoriale - occupano un posto di assoluto rilievo.
Guardando alla sanità al di là di ogni retorica, con gli occhi di chi la vive e la soffre quotidianamente, sono emerse forti criticità. Innanzitutto tempi di attesa troppo lunghi per l’accesso alle prestazioni diagnostiche, anche quando quel tempo mal si concilia con la natura della prestazione stessa; non secondari, la scarsa qualità delle prestazioni, i costi di accesso ai servizi e, infine, la poca empatia del personale sanitario rispetto alla situazione di anche profondo disagio vissuta dal paziente che, occorre tornare a ricordare, si definisce tale perché è in una condizione di sofferenza e non perché debba esercitare, con chi è chiamato per professione a occuparsi di lui, la virtù di Giobbe.
Questi fattori sono alla base della scelta, necessaria per molti, di rivolgersi alle strutture sanitarie private con costi assolutamente difficili da sopportare. Approfondendo le motivazioni di queste scelte, emerge quanto la malattia finisca con il rappresentare una sorta di indicatore delle disuguaglianze sociali. Una larga parte di coloro che si rivolgono alle strutture private, infatti, sono i soggetti che appartengono a famiglie a basso reddito e impegnati nelle professioni socialmente meno pregiate. Questo dato, apparentemente controintuitivo, è spiegabile a partire dalla loro più bassa dotazione di un capitale di relazioni e amicizie, che fa sì che queste persone si trovino ad affrontare il sistema sanitario pubblico nella sua forma più rigida e anonima. Mentre i soggetti della classe socio-economicamente più alta, che vi accedono attraverso veri e propri «corridoi amicali», vengono accolti all’interno di un sistema sanitario più «personalizzato e tempestivo». Vale tristemente ancora la massima «meglio avere un amico che un diritto». Assolutamente non secondario poi, che i cittadini di alcuni quartieri lamentino una sorta di perifericità che non viene fatta dipendere tanto dalla distanza fisica dalla città, quanto da una sorta di distanza sociale.