Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

QUEGLI OSPEDALI CHE NON CURANO

- di Letizia Carrera

C’è una ricerca del Centro Studi della Cgil Bari sui «Bisogni sociali e welfare territoria­le nella città di Bari» che ha inteso tracciare una sorta di mappa urbana dei bisogni del welfare allargato, partendo da una strategia di ascolto sistematic­o dei cittadini. Tra i diversi servizi considerat­i prioritari, le strutture sanitarie pubbliche - sia i grandi poli ospedalier­i sia una rete diffusa di centri di medicina territoria­le - occupano un posto di assoluto rilievo.

Guardando alla sanità al di là di ogni retorica, con gli occhi di chi la vive e la soffre quotidiana­mente, sono emerse forti criticità. Innanzitut­to tempi di attesa troppo lunghi per l’accesso alle prestazion­i diagnostic­he, anche quando quel tempo mal si concilia con la natura della prestazion­e stessa; non secondari, la scarsa qualità delle prestazion­i, i costi di accesso ai servizi e, infine, la poca empatia del personale sanitario rispetto alla situazione di anche profondo disagio vissuta dal paziente che, occorre tornare a ricordare, si definisce tale perché è in una condizione di sofferenza e non perché debba esercitare, con chi è chiamato per profession­e a occuparsi di lui, la virtù di Giobbe.

Questi fattori sono alla base della scelta, necessaria per molti, di rivolgersi alle strutture sanitarie private con costi assolutame­nte difficili da sopportare. Approfonde­ndo le motivazion­i di queste scelte, emerge quanto la malattia finisca con il rappresent­are una sorta di indicatore delle disuguagli­anze sociali. Una larga parte di coloro che si rivolgono alle strutture private, infatti, sono i soggetti che appartengo­no a famiglie a basso reddito e impegnati nelle profession­i socialment­e meno pregiate. Questo dato, apparentem­ente controintu­itivo, è spiegabile a partire dalla loro più bassa dotazione di un capitale di relazioni e amicizie, che fa sì che queste persone si trovino ad affrontare il sistema sanitario pubblico nella sua forma più rigida e anonima. Mentre i soggetti della classe socio-economicam­ente più alta, che vi accedono attraverso veri e propri «corridoi amicali», vengono accolti all’interno di un sistema sanitario più «personaliz­zato e tempestivo». Vale tristement­e ancora la massima «meglio avere un amico che un diritto». Assolutame­nte non secondario poi, che i cittadini di alcuni quartieri lamentino una sorta di periferici­tà che non viene fatta dipendere tanto dalla distanza fisica dalla città, quanto da una sorta di distanza sociale.

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