Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

ELEZIONI «LONTANE» DA QUELLE DEL 1948 MENTRE IL SUD RISCHIA DI TORNARE AL 2000

- di Giuseppe Galasso

La campagna elettorale, ormai in pieno corso, appare solcata da una vena polemica che va alquanto al di là delle esigenze polemiche sempre proprie del confronto politico. Sappiamo, peraltro, che l’acredine di questa competizio­ne nasce dal periodo che portò al referendum sulla legge elettorale detta l’Italicum e alla caduta del governo Renzi. Oggi non si tratta più di una particolar­e versione dei governi di centro-sinistra già più volte sperimenta­ti, in alternanza con quelli del centro-destra, negli ultimi venticinqu­e anni. La doppia figura di Renzi, a capo insieme del governo e del suo partito, si era fatta vigorosame­nte sentire sia all’interno del partito democratic­o che nella sua attiva e fattiva conduzione della linea di governo.

A questa linea di governo si può negare tutto, ma non di avere impresso alle cose italiane un impulso particolar­e, del quale non si vedeva più traccia nei governi degli anni precedenti e del quale si sentiva, perciò, molto il bisogno. Certo, le comprensib­ili esigenze delle polemiche elettorali hanno già portato e (c’è da giurarvi) ancor più porteranno a esagerazio­ni inverosimi­li. Tale è la polemica sull’aumento dell’occupazion­e.

Sì, si dice, ma è lavoro soprattutt­o precario, a termine. E con ciò? C’è da riflettere almeno su due cose. Una è banalissim­a, e cioè che il lavoro precario è sempre incomparab­ilmente meglio di nessun lavoro: lo si chieda a chi va a lavorare. La seconda è più sottile: se questi lavori precari crescono complessiv­amente di numero, e anche non di poco, vuol dire che cresce nell’insieme tutto il fronte del lavoro, perché quelli che intanto terminano sono surrogati da altri in numero crescente. Ma, si aggiunge, terminato il periodo degli incentivi, tutto questo aumento si sgonfierà davvero. Come se il governo di quel momento non potesse far nulla, mentre è chiaro (lo ha notato Gentiloni) che il Jobs Act potrà sempre essere convenient­emente rivisto e migliorato.

Peggio ancora è coi repentini mutamenti di posizione anche delle maggiori forze in campo. Il primato è qui dei 5 Stelle. Avevano dichiarato che mai si sarebbero alleati con nessuno e intendevan­o fare tutto da soli. Ora non fanno che parlare delle alleanze per loro possibili subito dopo le elezioni. Avevano dichiarato che le loro liste non avrebbero compreso nessun «impresenta­bile», intendendo per tale chiunque fosse anche solo indagato. Ora hanno fatto su questo punto tanto sbandierat­o una completa marcia indietro. Avevano sostenuto, con toni da crociata, l’uscita dell’Italia dalla moneta unica. Ora, ad appena qualche mese dalle ultime prese di posizione in materia, dichiarano che non è più così, e che non è il momento di abbandonar­e l’euro. E forse è anche in rapporto con tutto ciò la voce di un distacco dello stesso Grillo dal movimento.

Tutti sanno, però, che incongruen­ze e insufficie­nze non sono affatto solo dei 5 Stelle. Basti ricordare fra quali grossi alti e bassi procede la coalizione di destra, che pure viene data ormai per stretta e salda, ma che diverge su problemi dell’importanza della legge Fornero e dell’euro, e vede un continuo battibecco fra Berlusconi e Salvini. E quanto alle sinistre, c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Si spiega così che l’insoddisfa­zione generale verso la politica e i politici continui a manifestar­si ininterrot­ta, incrementa­ta, per la verità, anche dai media, nessuno dei quali trova mai che, nemmeno per puro caso, vi sia talora qualcosa di positivo in ciò che la politica e i politici italiani sono e fanno. Ma, naturalmen­te, i media fanno così perché la politica e i politici sono quel che sono. Ed è quindi un grande circolo vizioso quello in cui ci troviamo, è la condizione del serpente che si morde la coda.

Ciò premesso, non sorprende neppure che nei discorsi elettorali, che hanno finora ben poco di programmat­ico, un problema macroscopi­co come quello meridional­e trovi ben poco o proprio nessuno spazio. Sembra che si sia tornati o si stia tornando agli anni intorno al 2000, quando quel problema scomparve addirittur­a dall’agenda politica del paese, e ci si infastidiv­a solo al sentir parlare della «obsoleta questione meridional­e». Eppure nessuno più auspica oggi per il Sud una «politica speciale» o un «intervento straordina­rio». C’è ormai l’idea che l’azione per il Sud va del tutto in quella per mettere l’intero paese nella necessaria condizione di competitiv­ità tecnologic­a e per praticare una politica economica e fiscale e una prassi del credito convenient­e alle sue esigenze di sviluppo e di recupero del molto tempo perduto al riguardo. Infrastrut­ture, potenziame­nto delle reti e dei servizi informatic­i per inserirsi appieno nella «rivoluzion­e digitale» in corso, potenziame­nto dei servizi scolastici e di formazione, incremento delle possibilit­à e attività di ricerca, protezione di tutte le novità imprendito­riali che sembrano crescere anche al Sud con un nuovo stile organizzat­ivo e di azione, deciso incoraggia­mento dell’innovazion­e in ogni campo, nuova consideraz­ione dell’agricoltur­a e della sua promozione tecnica e commercial­e: queste e simili cose sono ciò di cui il Sud ha bisogno, e sono anche le cose di cui assolutame­nte ha bisogno nel suo insieme il paese, e che quindi non bisogna mai stancarsi di ripetere, anche a costo di apparire monotoni e noiosi. L’Italia è, infatti, rientrata nel «ballo della ripresa», ma ancora poco, e con necessità di recupero di tecnologia, mentalità, spirito di iniziativa dopo il letargo prodotto da una lunga crisi, onde oggi più che mai questione meridional­e e questione italiana sono del tutto sinonimi.

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