Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
ELEZIONI «LONTANE» DA QUELLE DEL 1948 MENTRE IL SUD RISCHIA DI TORNARE AL 2000
La campagna elettorale, ormai in pieno corso, appare solcata da una vena polemica che va alquanto al di là delle esigenze polemiche sempre proprie del confronto politico. Sappiamo, peraltro, che l’acredine di questa competizione nasce dal periodo che portò al referendum sulla legge elettorale detta l’Italicum e alla caduta del governo Renzi. Oggi non si tratta più di una particolare versione dei governi di centro-sinistra già più volte sperimentati, in alternanza con quelli del centro-destra, negli ultimi venticinque anni. La doppia figura di Renzi, a capo insieme del governo e del suo partito, si era fatta vigorosamente sentire sia all’interno del partito democratico che nella sua attiva e fattiva conduzione della linea di governo.
A questa linea di governo si può negare tutto, ma non di avere impresso alle cose italiane un impulso particolare, del quale non si vedeva più traccia nei governi degli anni precedenti e del quale si sentiva, perciò, molto il bisogno. Certo, le comprensibili esigenze delle polemiche elettorali hanno già portato e (c’è da giurarvi) ancor più porteranno a esagerazioni inverosimili. Tale è la polemica sull’aumento dell’occupazione.
Sì, si dice, ma è lavoro soprattutto precario, a termine. E con ciò? C’è da riflettere almeno su due cose. Una è banalissima, e cioè che il lavoro precario è sempre incomparabilmente meglio di nessun lavoro: lo si chieda a chi va a lavorare. La seconda è più sottile: se questi lavori precari crescono complessivamente di numero, e anche non di poco, vuol dire che cresce nell’insieme tutto il fronte del lavoro, perché quelli che intanto terminano sono surrogati da altri in numero crescente. Ma, si aggiunge, terminato il periodo degli incentivi, tutto questo aumento si sgonfierà davvero. Come se il governo di quel momento non potesse far nulla, mentre è chiaro (lo ha notato Gentiloni) che il Jobs Act potrà sempre essere convenientemente rivisto e migliorato.
Peggio ancora è coi repentini mutamenti di posizione anche delle maggiori forze in campo. Il primato è qui dei 5 Stelle. Avevano dichiarato che mai si sarebbero alleati con nessuno e intendevano fare tutto da soli. Ora non fanno che parlare delle alleanze per loro possibili subito dopo le elezioni. Avevano dichiarato che le loro liste non avrebbero compreso nessun «impresentabile», intendendo per tale chiunque fosse anche solo indagato. Ora hanno fatto su questo punto tanto sbandierato una completa marcia indietro. Avevano sostenuto, con toni da crociata, l’uscita dell’Italia dalla moneta unica. Ora, ad appena qualche mese dalle ultime prese di posizione in materia, dichiarano che non è più così, e che non è il momento di abbandonare l’euro. E forse è anche in rapporto con tutto ciò la voce di un distacco dello stesso Grillo dal movimento.
Tutti sanno, però, che incongruenze e insufficienze non sono affatto solo dei 5 Stelle. Basti ricordare fra quali grossi alti e bassi procede la coalizione di destra, che pure viene data ormai per stretta e salda, ma che diverge su problemi dell’importanza della legge Fornero e dell’euro, e vede un continuo battibecco fra Berlusconi e Salvini. E quanto alle sinistre, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Si spiega così che l’insoddisfazione generale verso la politica e i politici continui a manifestarsi ininterrotta, incrementata, per la verità, anche dai media, nessuno dei quali trova mai che, nemmeno per puro caso, vi sia talora qualcosa di positivo in ciò che la politica e i politici italiani sono e fanno. Ma, naturalmente, i media fanno così perché la politica e i politici sono quel che sono. Ed è quindi un grande circolo vizioso quello in cui ci troviamo, è la condizione del serpente che si morde la coda.
Ciò premesso, non sorprende neppure che nei discorsi elettorali, che hanno finora ben poco di programmatico, un problema macroscopico come quello meridionale trovi ben poco o proprio nessuno spazio. Sembra che si sia tornati o si stia tornando agli anni intorno al 2000, quando quel problema scomparve addirittura dall’agenda politica del paese, e ci si infastidiva solo al sentir parlare della «obsoleta questione meridionale». Eppure nessuno più auspica oggi per il Sud una «politica speciale» o un «intervento straordinario». C’è ormai l’idea che l’azione per il Sud va del tutto in quella per mettere l’intero paese nella necessaria condizione di competitività tecnologica e per praticare una politica economica e fiscale e una prassi del credito conveniente alle sue esigenze di sviluppo e di recupero del molto tempo perduto al riguardo. Infrastrutture, potenziamento delle reti e dei servizi informatici per inserirsi appieno nella «rivoluzione digitale» in corso, potenziamento dei servizi scolastici e di formazione, incremento delle possibilità e attività di ricerca, protezione di tutte le novità imprenditoriali che sembrano crescere anche al Sud con un nuovo stile organizzativo e di azione, deciso incoraggiamento dell’innovazione in ogni campo, nuova considerazione dell’agricoltura e della sua promozione tecnica e commerciale: queste e simili cose sono ciò di cui il Sud ha bisogno, e sono anche le cose di cui assolutamente ha bisogno nel suo insieme il paese, e che quindi non bisogna mai stancarsi di ripetere, anche a costo di apparire monotoni e noiosi. L’Italia è, infatti, rientrata nel «ballo della ripresa», ma ancora poco, e con necessità di recupero di tecnologia, mentalità, spirito di iniziativa dopo il letargo prodotto da una lunga crisi, onde oggi più che mai questione meridionale e questione italiana sono del tutto sinonimi.