Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
La politica impari dalla prof e il suo allievo
Il futuro dell’istruzione Per la scuola non si fa abbastanza. Lo dimostra la vicenda di un ragazzino «salvato» da una docente
Capitò tempo fa di sentire queste frasi dalla bocca di un oculista: «Vede questa patologia degli occhi nei bambini? Si cura con un buon paio di occhiali e controlli periodici. Un tempo si trascurava la malattia oppure non la si diagnosticava in tempo. L’esito era infelice: quel bambino cresceva con un deficit visivo ma era pure considerato un somaro a scuola, una specie di ritardato. Ma, poverino, non aveva tare mentali, semplicemente non riusciva a vedere la lavagna: per questo non capiva le spiegazioni».
Le parole di quel medico mi sono tornate in mente a leggere la bella storia di Simone, raccontata da Paola Cacace: dodici anni, prima media e una agitata irrequietezza nei banchi che mette in difficoltà i suoi compagni di classe e gli insegnanti. In passato era stato visitato e classificato come «iperattivo ma non plusdotato». Una diagnosi più accurata e successiva ha detto esattamente il contrario: Simone non è un iperattivo, ma un bambino plusdotato. Significa che gli capita di annoiarsi tra i banchi perché le sue dotazioni cognitive sono superiori alla media degli altri suoi compagni. Un piccolo ma decisivo rimedio, grazie ad una tenace insegnante, è stato individuato per lui: una volta a settimana invece di stare in classe va a frequentare un’azienda di meccatronica di Corato per occuparsi delle cose che ama di più: la tecnologia e le macchine innovative. Simone vuole costruire un drone, siamo certi che ci riuscirà.
L’alleanza tra medicina (dottori competenti) e scuola (docenti all’altezza della situazione) è riuscita a restituire serenità a Simone, ai suoi genitori e ai suoi compagni di classe. Della sanità si parla spesso: i giornali sono pieni di episodi belli e brutti (il più delle volte).
Della scuola si parla molto meno. Fateci caso: neppure in queste settimane di campagna elettorale il tema è diventato centrale nel confronto tra le forze politiche. Si è discusso - e si sta discutendo ancora - del livello delle tasse relative all’istruzione universitaria; ma finora non si è ancora sentita una voce netta sulle intenzioni riguardo alla nostra scuola, dalla primaria alle superiori. È una grave sottovalutazione, soprattutto ai tempi in cui la competizione globale si gioca anche e soprattutto sul livello delle competenze dei cittadini del futuro.
Un Paese si giudica da diversi importanti fattori. Tuttavia non c’è dubbio, come ci insegna la storia di Simone, che la qualità della sanità e della scuola siano tra gli elementi più importanti su cui fondare una valutazione autentica. Certo, in entrambi i comparti non siamo molto più indietro di Paesi altrettanto avanzati quanto l’Italia. Ma questo non basta e non ci tranquillizza. L’istruzione necessita di investimenti cospicui: un Paese maturo deve essere capace di individuare le risorse e metterle a disposizione. Ed è giusto sottolineare che occorre restituire dignità al nobile lavoro dell’insegnante, un ruolo ingiustamente precipitato nella scala della considerazione sociale. È vero: occorrono docenti più preparati, più competenti e più generosi. Ma, allo stesso modo, va riconosciuto loro un livello retributivo all’altezza del compito che si richiede. A dirlo, lo sappiamo, si rischia l’accusa di demagogia (a favore dei docenti) e si rischia l’impopolarità tra coloro che lamentano un approccio burocratico e sbrigativo degli insegnati nello svolgimento della loro funzione. Occorre premiare i buoni insegnanti perché sono loro che fanno buona la scuola.
Naturalmente servono anche investimenti per edifici e laboratori: lo sappiamo e oggi lo vediamo più chiaramente con gli occhi dei nostri figli che sempre più spesso frequentano le aule delle scuole estere per qualche mese o per un intero anno scolastico. L’attenzione verso i percorsi di istruzione, insomma, non deve mai calare, anche quando si può supporre di avere raggiunto uno standard decoroso. E non deve mai cessare la nostra domanda a quanti si affacceranno sull’uscio di casa o sul teleschermo a proporsi per un seggio in Parlamento: per la scuola cosa ha in mente?