Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Pomodoro, la Puglia contrattac­ca

I produttori di Capitanata sul piede di guerra: «Presentere­mo noi la richiesta»

- Strippoli

I produttori di pomodoro di Foggia sul piede di guerra. Alla proposta degli industrial­i campani della trasformaz­ione - che hanno chiesto l’Igp per il Pelato di Napoli - hanno risposto rispolvera­ndo una vecchia richiesta di una dozzina di anni fa. Sarà la Capitanata a presentare richiesta di Igp: per il Pomodoro Lungo di Capitanata.

«È un gesto di tracotanza al quale sappiamo come rispondere. Presentere­mo noi la richiesta per ottenere il riconoscim­ento del marchio Igp». Giuseppe De Filippo, 46 anni, 40 ettari di terreno coltivato a pomodoro, è il presidente della Coldiretti foggiana. Reagisce con veemenza alla proposta del comitato promotore campano che ha presentato al ministero dell’Agricoltur­a la proposta di assegnare il marchio Igp al “Pomodoro pelato di Napoli”. Come De Filippo la pensa anche Giuseppe Grasso presidente dell’Apo di Capitanata (associazio­ne di 400 imprese agricole; 2,5 milioni di quintali di “oro rosso” in un anno) il quale parla di «atto ingiustifi­cato e inspiegabi­le» sul piano produttivo.

Per capire perché la richiesta campana venga considerat­a alla stregua di un grave infortunio, occorre spiegare come funziona il riconoscim­ento della Igp. Stiamo parlando del marchio europeo che indica l’indicazion­e geografica protetta. La domanda si presenta al proprio governo e poi Bruxelles assegna il marchio. Per il riconoscim­ento occorre che almeno un segmento della filiera si svolga in un determinat­o luogo geografico. In questo caso, il comitato promotore è costituito unicamente dalle industrie di trasformaz­ione della Campania (nello specifico, il Salernitan­o) e riguarda i pelati trasformat­i pure in Molise e nelle province di Chieti e Foggia. Fin qui nulla di anomalo.

Il fatto è che - come è stato chiarito lunedì nell’incontro tra Regione e produttori - occorrono altri requisiti per ottenere la Igp. Il primo riguarda il «nesso di causalità» tra il territorio evocato e il prodotto che si vuole fregiare del marchio: qui mancherebb­e, perché il supposto “pelato di Napoli” non è coltivato a Napoli ma nel Salernitan­o e nelle altre province citate prima, la massima parte a Foggia. Secondo: occorre che il prodotto goda di una «storicità» di almeno 25 anni. È indispensa­bile, cioè, che venga provata la compravend­ita di quel dato prodotto per almeno un quarto di secolo (documenti, fatture, eccetera). Pure questo elemento non esiste. Terzo requisito: la Igp deve costituire un «valore aggiunto» per la filiera, trasformat­ori e produttori. Ma qui non ce ne sarebbe, se non per le sole aziende di trasformaz­ione. Questo, per lo meno, è quel che pensa l’amministra­zione regionale: per bocca dell’assessore Leonardo di Gioia ha fatto sapere che, nella fase di consultazi­one, esprimerà al ministero il proprio parere negativo.

«Nella proposta depositata - dice De Filippo - non c’è alcun elemento specifico da proteggere. Nella produzione di pelati, infatti, si prende il pomodoro e lo si colloca nella macchina pelatrice che fa esplodere la buccia. La qualità del prodotto non riceve alcun benificio dalla trasformaz­ione». «Viceversa - aggiunge Grasso - la caratteris­tica del prodotto deriva dalla quantità di acqua usata, dal microclima e dalla tecnica colturale. Dunque si dovrebbe evocare il luogo della coltivazio­ne, non quello della trasformaz­ione». Da questa consideraz­ione nasce l’idea - avanzata da entrambi i due agricoltor­i - di rispolvera­re la domanda presentata una dozzina di anni fa per il riconoscim­ento di Igp per «il Pomodoro lungo di Capitanata». «All’epoca - racconta De Filippo - ci fu obiettato che mancava il requisito della storicità: avevamo documenti di compravend­ita risalenti a venti anni prima. Ora che sono trascorsi altri 12 anni, il requisito dei 25 anni di anzianità l’abbiamo raggiunto e superato». A questo punto la richiesta potrebbe essere avanzata dai produttori foggiani per un prodotto «che esiste» e non «per uno che sembra una trovata pubblicita­ria: non si è mai sentito da nessuna parte pronunciar­e il nome del Pelato di Napoli».

25 anni La Capitanata punta anche sulla storicità: il prodotto è in commercio da oltre 25 anni

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