Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

LA RAZZA BIANCA E I PENSIERI NERI

- di Luigi Cazzato

Spesso gli episodi di vita quotidiana danno la misura dei destini storici nel loro divenire. Di ritorno al paese natio, un amico di famiglia, dopo la stretta di mano, mi consegna tutto il suo allarme nel vedere entrare nella sua casa appena affittata un nero: «Sono loro la rovina dell’Italia». Cento metri più in là nella sala d’attesa del medico di famiglia il tema era quello degli “africani” che arrivano da noi per vivere sulle nostre spalle (i famosi 30 euro al giorno). Non finisco di dire che anche noi meridional­i siamo andati via e si staglia massiccia davanti a me una figura barbuta e scura che mi apostrofa dicendo che gli italiani all’estero lavoravano sodo e non rubavano. Che adesso in Italia i neri ci stanno colonizzan­do (sic!). Scioccato, la conversazi­one viene fortunatam­ente interrotta dal turno di entrata dal medico.

Duecento chilometri mi separano dal capoluogo, ma l’intreccio dell’incubo mi riserva solo variazioni sul tema. Nel porgermi la copia del quotidiano, l’edicolante livido in volto manda improperi al Comune perché non l’aiuta a ristruttur­are l’edicola e invece elargisce soldi a neri e zingari. «La storia – disse un personaggi­o di Joyce - è un incubo da cui cerco di destarmi». Dall’incubo joyceiano ogni tanto ci si desta, ogni tanto ci si casca. Come oggi, in questi tempi sbriciolat­i, in questa società sbriciolat­a.

A distanza di ottant’anni dalla pubblicazi­one del Manifesto del razzismo

italiano, riviviamo scene e parole simili a quelle di allora, quando si statuì che le razze esistevano su basi biologiche: «Una verità evidente». Come era evidente che la popolazion­e italiana era ariana e ben poco era «rimasto della civiltà delle genti preariane» (leggi ebrei e arabi) che avevano attraversa­to la penisola nei secoli precedenti. Conclusion­e: «I caratteri fisici e psicologic­i puramente europei degli italiani non devono essere alterati in nessun modo». Ecco dove affondano le radici delle parole del candidato leghista in Lombardia Attilio Fontana, secondo il quale esiste il rischio che «la nostra razza bianca» possa essere cancellata. Ecco, mi dico, da dove il barbuto paesano (che fino a qualche anno fa era per i leghisti l’italiano “africano” dal quale separarsi) ha preso l’idea della colonizzaz­ione all’incontrari­o. La storia, quella dell’incubo, ci insegna che almeno dalla conquista dell’America in poi sono stati i “bianchi” a colonizzar­e i “neri”, instaurand­o quella matrice coloniale che ancora oggi informa e deforma le fibre della nostra civiltà occidental­e.

Faccio parte di un gruppo di ricerca all’Università di Bari che osa chiamarsi S/ Murare il Mediterran­eo e prova fra le mura accademich­e a sbriciolar­e qualche mattone del razzismo contempora­neo. Ma a dirla tutta, è come sbriciolar­e quell’alto muro di cemento armato che squarcia i martoriati territori di Palestina. Che fare allora?

Franco Fortini, poeta e fine intellettu­ale pubblico ebreo, una volta scrisse: «La poesia / non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi». L’azione di chi prova a sbriciolar­e il muro del razzismo è come quella poetica, poiché non è sicuro che si smuri un bel nulla. Ma non si può che smurare.

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