Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
LA RAZZA BIANCA E I PENSIERI NERI
Spesso gli episodi di vita quotidiana danno la misura dei destini storici nel loro divenire. Di ritorno al paese natio, un amico di famiglia, dopo la stretta di mano, mi consegna tutto il suo allarme nel vedere entrare nella sua casa appena affittata un nero: «Sono loro la rovina dell’Italia». Cento metri più in là nella sala d’attesa del medico di famiglia il tema era quello degli “africani” che arrivano da noi per vivere sulle nostre spalle (i famosi 30 euro al giorno). Non finisco di dire che anche noi meridionali siamo andati via e si staglia massiccia davanti a me una figura barbuta e scura che mi apostrofa dicendo che gli italiani all’estero lavoravano sodo e non rubavano. Che adesso in Italia i neri ci stanno colonizzando (sic!). Scioccato, la conversazione viene fortunatamente interrotta dal turno di entrata dal medico.
Duecento chilometri mi separano dal capoluogo, ma l’intreccio dell’incubo mi riserva solo variazioni sul tema. Nel porgermi la copia del quotidiano, l’edicolante livido in volto manda improperi al Comune perché non l’aiuta a ristrutturare l’edicola e invece elargisce soldi a neri e zingari. «La storia – disse un personaggio di Joyce - è un incubo da cui cerco di destarmi». Dall’incubo joyceiano ogni tanto ci si desta, ogni tanto ci si casca. Come oggi, in questi tempi sbriciolati, in questa società sbriciolata.
A distanza di ottant’anni dalla pubblicazione del Manifesto del razzismo
italiano, riviviamo scene e parole simili a quelle di allora, quando si statuì che le razze esistevano su basi biologiche: «Una verità evidente». Come era evidente che la popolazione italiana era ariana e ben poco era «rimasto della civiltà delle genti preariane» (leggi ebrei e arabi) che avevano attraversato la penisola nei secoli precedenti. Conclusione: «I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono essere alterati in nessun modo». Ecco dove affondano le radici delle parole del candidato leghista in Lombardia Attilio Fontana, secondo il quale esiste il rischio che «la nostra razza bianca» possa essere cancellata. Ecco, mi dico, da dove il barbuto paesano (che fino a qualche anno fa era per i leghisti l’italiano “africano” dal quale separarsi) ha preso l’idea della colonizzazione all’incontrario. La storia, quella dell’incubo, ci insegna che almeno dalla conquista dell’America in poi sono stati i “bianchi” a colonizzare i “neri”, instaurando quella matrice coloniale che ancora oggi informa e deforma le fibre della nostra civiltà occidentale.
Faccio parte di un gruppo di ricerca all’Università di Bari che osa chiamarsi S/ Murare il Mediterraneo e prova fra le mura accademiche a sbriciolare qualche mattone del razzismo contemporaneo. Ma a dirla tutta, è come sbriciolare quell’alto muro di cemento armato che squarcia i martoriati territori di Palestina. Che fare allora?
Franco Fortini, poeta e fine intellettuale pubblico ebreo, una volta scrisse: «La poesia / non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi». L’azione di chi prova a sbriciolare il muro del razzismo è come quella poetica, poiché non è sicuro che si smuri un bel nulla. Ma non si può che smurare.