Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
SE IL LAVORO È SOLO PROFITTO
Afare i conti, le morti sul lavoro su scala nazionale sono ormai da guerra civile; e l’anno appena iniziato fa pensare a numeri non migliori del 2017. Dal Siderurgico di Taranto, ad altre fabbriche del Nord, ai casi di manutenzione degli impianti, e fino alle aziende familiari, gli incidenti sul lavoro segnano un crescendo inquietante. Può dipendere da fatale distrazione? Forse in parte, in piccola parte. Quando si scende in cisterna senza respiratore e senza costanti controlli dall’esterno, quando si lavora nei servizi di una ferriera, fra ponteggi pericolosi e temperature inimmaginabili, l’ambiente stesso moltiplica i rischi, per non parlare degli operai a contatto con materiali tossici. Fra simili pericoli, l’incidente grave è un attimo, per un pezzo di ferro malamente assicurato, presso una macchina rotante che mangia chi le si accosti, accanto a una valvola bollente e difettosa. Il lavoro è un diritto; in Italia è addirittura un principio costituzionale, parte fondamentale del nostro ordinamento pubblico. E invece è diventato confine fra esserci e non esserci; in fabbrica, sui ponteggi dell’edilizia, davanti alla potenza termica di una fonderia, ogni giorno si svolge uno scambio comunque ineguale, fra il salario, anche se giusto, e la perdita della vita. E questo fenomeno abbraccia in un medesimo scenario il Nord come il Sud del Paese, quasi a creare la celebrazione più crudele dell’unità repubblicana. Come si spiega un tale ritmo di vittime sul lavoro? Il problema risale alla fine dell’Ottocento, con la Germania di Bismarck che per prima pose misure istituzionali contro malattie e infortuni, e di là nacque l’attuale welfare-state. Ma oggi i rimedi non bastano; occorre molto di più, occorre ripartire dal valore sociale del lavoro, interpretato solo in chiave economica, nell’eterna dialettica costi/ricavi. Il lavoro è un’altra cosa, perché oltre il danaro che esso domanda e produce, vi sono mille passi intermedi, poco visibili per un occhio inesperto, a cominciare dagli istituti di controllo preventivo; vi è poi la qualità delle leggi, o l’adeguatezza delle protezioni, o dei presidi medici nei luoghi di produzione. E quando si apre l’inchiesta giudiziaria, il peggio è già accaduto. In aggiunta, al sud esiste la piaga del caporalato, delle giornate di “fatica” con le raccoglitrici morte esauste. Occorre un aggiornamento culturale sul lavoro, che ancora vede troppi giovani esclusi, e l’assenza di un sistema di regole di tutela fuori dai criteri del profitto; saprà l’attuale stagione elettorale tenere un confronto sul tema? O avremo solo inutile propaganda?