Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Sudestival, i documentari di Francesco Conversano
Il pugliese Francesco Conversano è uno dei più importanti documentaristi italiani Al Sudestival di Monopoli presenta oggi «Francesco Guccini va ad Auschwitz»
Joe Lansdale è uno scrittore texano innamorato della Puglia. Ma non è stato un amore a prima vista. A fargli perdere la testa ci hanno pensato i pugliesi e il regista monopolitano, Francesco Conversano con cui ha girato Luoghi dell’Altro. Diario di Viaggio di Joe R. Lansdale in Puglia, un diario on the road, da Monte Sant’Angelo a Santa Maria di Leuca. «È stato un viaggio antropologico attraverso la mia terra», spiega Francesco Conversano, uno dei più importanti autori italiani di documentari. Con la regista Nene Grignaffini ha fondato a Bologna la casa di produzione «Movie Movie» con la quale ha realizzato più di un centinaio di documentari e reportage in tutto il mondo. Ha partecipato a numerosi festival internazionali, vincendo nel 2006 con «Il bravo gatto prende i topi» (sulla vita quotidiana nelle aree rurali cinesi) un David di Donatello per il miglior documentario.
Francesco Conversano torna oggi in Puglia, ospite de «Gli incontri del Sudestival» nella sua Monopoli. Se n’era andato nel 1972, dopo il liceo, per frequentare a Bologna il Dams. («Ma è in Puglia che mi sono formato. Con i film che si proiettavano al Radar, quando il Cinema era importante»). Il regista pugliese presenta il suo «Son morto che ero bambino, Francesco Guccini va ad Auschwitz» (stasera alle 18 nella biblioteca Rendella). Un viaggio nei luoghi che ispirarono il brano del cantautore bolognese La canzone del bambino nel vento, pubblicata nel 1966. «Una esperienza bellissima e toccante - racconta Conversano - che non si può spiegare se non si è vissuta».
La canzone di Guccini parla di forni crematori e di bambini dispersi nel vento, insieme a milioni di individui a cui era stata negata ogni radice umana soltanto perché ebrei. Un tema delicato. Come è venuta fuori l’idea del racconto?
«Ho chiesto a Guccini: perché non andiamo ad Auschwitz? E lui ha accettato. C’era un treno che partiva da Milano. Ci hanno dato un intero vagone. A questo punto abbiamo pensato di condividere il viaggio con altre persone. Così abbiamo coinvolto il vescovo di Bologna, Matteo Zuppi, e la scolaresca di una scuola media dell’Appennino emiliano».
Guccini ha riavvolto il nastro della memoria. Ne è venuto fuori un racconto toccante.
«Abbiamo voluto evitare ogni retorica. Ci siamo avvicinati a questo tema con molta delicatezza. Alle citazioni di Guccini si intrecciano i silenzi e gli sguardi che abbiano imparato a conoscere dai film. Alle immagini di oggi si mescolano quelle in bianco e nero dell’epoca. Silenzi che dicono molto. Ogni sguardo ci riconduce a quei fotogrammi drammatici che ormai fanno parte del nostro immaginario collettivo».
È un buon momento questo per i documentari?
«I lavori di noi italiani sono molto interessanti. Abbiamo una modalità di racconto creativa che va fuori dagli standard. I documentari anglosassoni, ad esempio, seguono tutti uno schema. Sembrano tutti uguali»
Una decina di anni fa l’attenzione al cosiddetto cinema del reale era assai più contenuta. Gianfranco Rosi non aveva ancora vinto il Leone d’Oro con Sacro Gra, né l’Orso d’oro con Fuocoammare, arrivato poi vicino all’Oscar.
Lo scenario italiano e internazionale, e anche la produzione, sono cambiati moltissimo in questi anni. E l’attenzione del pubblico lo ha confermato.
«Per come lo intendo io il documentario è una sorta di ricerca antropologica, uno strumento prezioso per raccontare le relazioni fra gli uomini e i luoghi del mondo, per descrivere il nostro tempo. È la possibilità di mettere in scena la realtà con il proprio sguardo. Una possibilità che ci offre solo il cinema e la letteratura».
La realtà, checché se ne dica, si racconta meglio in un film che in un dibattito televisivo.
«Il linguaggio cinematografico resta sempre il più efficace»
E la Puglia? Per lei è ormai solo un luogo di memoria?
«A Monopoli mi piace tornare. È il posto che mi ha formato, che mi ha suggerito di provare a raccontare gente e luoghi. Come diceva Tonino Guerra: “La nostra storia nasce dalle esperienza fatte nell’adolescenza”. Gli vogliamo dare torto?».
Il mio posto Monopoli è il posto che mi ha formato, che mi ha suggerito di raccontare gente e luoghi