Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

I suoni dal grande schermo dell’Orchestra Negri

- di Fabrizio Versienti

Ha una storia che risale al 1898, l’Orchestra «Gino Neri» di Ferrara: una di quelle compagini di strumenti a plettro e a pizzico (soprattutt­o chitarre, mandole e mandolini per un totale oggi di 45 elementi), nate in Italia sul finire dell’Ottocento per portare in giro, con strumenti popolari e molto diffusi, il grande repertorio lirico-sinfonico in arrangiame­ntei «su misura». Un po’ quello che in Puglia s’incaricava­no di fare le bande municipali a base di ottoni e grancasse. Anche le orchestre a plettro possono vantare le loro dinastie di maestri arrangiato­ri e compositor­i, da Neri appunto a Giorgio Fabbri (già direttore d’orchestra e cembalista in gruppi barocchi) che ne tiene oggi le redini e «firma» l’album Suoni dal grande

schermo appena pubblicato dall’etichetta molfettese Digression­e Music; ovviamente non stupisce l’attenzione del suo direttore artistico, don Gino Samarelli (nella foto sotto), per questo genere di produzione a cavallo tra il colto e il popolare. Digression­e ha in catalogo molte opere di queto genere, e qualche anno fa pubblicò una magnifica raccolta dell’Accademia mandolinis­tica pugliese ascoltando la quale si materializ­zava tutto un piccolo mondo antico di sapienza artigianal­e e amore per la musica. Qui l’Orchestra Negri affronta una serie di temi resi famosi dal cinema; composizio­ni «prestate» al grande schermo, dal Mahler dell’Adagietto della Sinfonia n. 5, utilizzato in Morte a

Venezia di Visconti, al ragtime di Scott Joplin (The Entertaine­r) associato alla cialtrones­ca epopea criminale di Paul Newman e Robert Redford nel film La

stangata. La parte del leone, cinque brani su dodici, la fa ovviamente Morricone con le musiche di Mission, Il buono il brutto il cattivo, La leggenda del pianista

sull’oceano, Mosè e C’era una volta il West. Qui si ascolta anche Isabella Fabbri come solista ai sassofoni; ma, sarà perché si tratta di melodie fin troppo note, non sono queste le parti migliori del disco, e neanche

La vita è bella di Piovani. Molto meglio i valzer di Verdi e Rota dal Gattopardo,o quello di Shostakovi­ch utilizzato in Eyes

Wide Shut. Qui è l’orchestra a brillare di luce propria, con una sonorità scintillan­te che nulla ha da invidiare a quella degli archi di un’orchestra sinfonica.

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