Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
PARTITI E VOTO, C’ERA UNA VOLTA LA PROPAGANDA ELETTORALE
Il professor Vito Covelli: «È diff icile da diagnosticare, ma non impossibile». E intanto progetta una task force per farla conoscere a livello nazionale
Ormai nessuno ci fa più caso, e nemmeno lo nota. Questa campagna elettorale sta segnando il definitivo atto di morte della vecchia propaganda elettorale. Un tempo si puntava, come si sa, innanzitutto sui comizi, su grandi o piccole adunate di piazza, in cui i leader illustravano le posizioni dei rispettivi partiti, polemizzavano con gli avversari, esortavano a seguire le indicazioni date nel comizio e a farsene eco nei propri ambienti. Questo modulo era poi ripetuto a varia scala e si arrivava fino ai comizi rionali o di vicinato. Un’altra tecnica, molto esaltata quando a suo tempo si cominciò a farvi ricorso, era la propaganda «porta a porta», che apparve come il modo, di molto migliore rispetto agli altri, di cercare e trovare ascolto e rispondenza nella base sociale. E poi c’erano i manifesti, diventati alla fine giganteschi; l’invio di lettere e altro materiale elettorale (così si diceva) direttamente a casa degli elettori sulla scorta degli elenchi telefonici o di apposite altre liste utili allo scopo; il giro del candidato per i luoghi pubblici o privati ritenuti più significativi e importanti; riunioni private o familiari promosse da adepti, amici, sostenitori occasionali, e così via.
Inizia con le fitte agli arti, o alla colonna vertebrale, che poi si estendono rapidamente e facilmente a tutto il corpo, finché diventano insopportabili, defaticanti, un vero e proprio impedimento a svolgerle le azioni quotidiane e un disincentivo alla vita sociale. La Fibromialgia, detta “la malattia invisibile” perché difficile da diagnosticare, è un bombardamento quotidiano di dolori che non passano con gli antinfiammatori, di facile affaticamento che diventa stanchezza cronica, di frequenti risvegli notturni che danno la sensazione all’organismo di non trovare mai riposo. E anche di molti altri sintomi che possono ulteriormente aggravare, a seconda dei casi, quadri clinici già seriamente compromessi, ma che non risultano da esami del sangue o strumentali. Un fardello, insomma, che può diventare insostenibile, se lasciato solo sulle spalle di chi lo porta. «Difficile, certo, ma non impossibile da diagnosticare» dice il professor Vito Covelli (nella foto), associato di Neurologia alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università “Federico II” di Napoli, già primario dell’unità operativa complessa di Neurologia del Policlinico di Bari, autore di oltre 400 pubblicazioni scientifiche, su riviste nazionali e internazionali, dedicate ad ampio spettro all’origine, l’evoluzione e il trattamento di molti mali: dalle cefalee ai tic, dall’insonnia ai fenomeni di “assenza”, dal morbo di Parkinson agli attacchi ischemici transitori. In particolare, professor Covel- li, lei sta dedicando molto del suo tempo alla Fibromialgia. Di che si tratta, innanzitutto? «Preferirei dire prima cosa non è, per sgombrare il campo da qualsiasi rischio di incomprensione. La fibromilagia non è un disturbo psichico. Non è una conseguenza della depressione o dello stress. Non è l’ipocondria. Piuttosto, è una sindrome multifattoriale caratterizzata da un aumento generalizzato della tensione muscolare. Non si conosce ancora l’origine, ma la scienza ci sta lavorando». La depressione, quindi, può essere tra le complicanze, diciamo così, di questa patologia già invalidante. «Certo, esattamente come i disturbi ossessivi compulsivi. Molte persone affette da fibromialgia sprofondano in queste ulteriori patologie, perché finiscono per avvitarsi su loro stesse». Perché, oltre alle tante malatChi tie di cui si è sempre occupato, si sta concentrando in particolare sulla fibromialgia? «Perché il fenomeno è in aumento continuo, negli ultimi anni». Ma non era una patologia di competenza del reumatologo? «Considerata l’oscura genesi della malattia ed essendo il dolore il sintomo che domina il quadro clinico, il neurologo è interessato a questo tipo di malattia, anche per i risvolti neuropsicologici secondari. Federigo Sicuteri (il medico che negli anni sessanta individuò la fibromialgia) intuì questo concetto già decenni fa e coniò il termine“panalgesia”per esprimere la presenza del dolore in quasi tutti i distretti del corpo umano». sono i pazienti a cui diagnostica la fibromialgia? «Sono soprattutto donne, direi un buon 80%. Ma anche uomini di ogni età, persino giovani apparentemente sani e forti». Qual è un caso che ricorda particolarmente? «Un uomo di 35 anni, un ufficiale delle forze armate, che non riusciva a trascinarci neanche più dal letto al divano, a causa dei dolori che sentiva in tutto il corpo». E l’ha guarito? «L’ho guarito, come tutti gli altri. Ma la guarigione non è facile né rapida, soprattutto se i pazienti vengono da me quando la malattia è in fase avanzata o molto avanzata». E ciò accade spesso? «Purtroppo sì, succede abbastanza di frequente». Ma lei, come lo spiega questo? «Dipende dall’approccio, generalmente un po’superficiale, che si ha con un paziente che lameninformazioni, ta i sintomi della fibromialgia. In genere, ci si rivolge in prima battuta al medico di famiglia. E questi, non sempre dà le indicazioni giuste per affrontare il problema. A causa della difficoltà, come ho già detto, di diagnosticare la malattia, questa viene spacciata spesso per ipocondria o disturbo da stress. E il paziente viene liquidato, invitandolo magari a farsi delle tisane e a rallentare i ritmi di lavoro». Il che risulterà avvilente, per una persone sofferente e desiderosa di un aiuto per guarire. «Esatto. È allora che il paziente incomincia a rimbalzare da uno specialista all’altro: l’ortopedico, il reumatologo, il gastroenterologo, lo psicoterapeuta finché, per esclusione, arriva al neurologo. Intanto, però, è passato molto tempo senza concludere nulla e con molta sofferenza». Invece lei, Professore, come cura i malati di fibromialgia? «Con dei farmaci, secondo un protocollo che io stesso ho messo a punto, sulla base dei miei studi e delle mie ricerche. Vede quel voluminoso libro (indica una copia di “Who's Who in the World”, raccolta di notizie biografiche e altre informazioni sulle persone che contano nel mondo)? Non a caso ho meritato che vi fosse inserito il mio nome», dice il professore mentre scorre, in una pagina del volume, un lungo elenco di statisti, premi nobel, geni della medicina e delle scienze umane e naturali». “Aiutati, che Dio ti aiuta”. Il detto popolare può valere, almeno un po’, anche per la fibromialgia? «È chiaro che non si guarisce se non lo si vuole veramente. Ma questa malattia, vorrei ripeterlo, non è un disturbo psichico. Serve competenza, capacità di andare a fondo nell’analisi e anche collaborazione». Collaborazione? «Da parte dei medici di base, innanzitutto, per i motivi a cui ho accennato prima. E poi, anche tra gli specialisti. Non a caso, sto organizzando per l’autunno prossimo un convegno sulla Fibromialgia, che si terrà a Bari, al quale saranno invitati illustri rappresentanti di varie specialità mediche. Bisogna scambiarsi tenersi aggiornati sui protocolli innovativi, sui risultati della ricerca scientifica». C’è un progetto, in particolare, al quale sta lavorando? «Ho intenzione, anche con l’aiuto di altri specialisti, di formare un gruppo di lavoro che possa portare il problema della Fibromialgia a Roma, al ministero per le Politiche della Salute. Sarebbe bello poter avviare una discussione seria sulla introduzione delle cure per la Fibromialgia nei Lea, i livelli essenziali di assistenza a livello nazionale. Così la malattia “invisibile” non sarà più tale».