Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

PARTITI E VOTO, C’ERA UNA VOLTA LA PROPAGANDA ELETTORALE

Il professor Vito Covelli: «È diff icile da diagnostic­are, ma non impossibil­e». E intanto progetta una task force per farla conoscere a livello nazionale

- di Giuseppe Galasso

Ormai nessuno ci fa più caso, e nemmeno lo nota. Questa campagna elettorale sta segnando il definitivo atto di morte della vecchia propaganda elettorale. Un tempo si puntava, come si sa, innanzitut­to sui comizi, su grandi o piccole adunate di piazza, in cui i leader illustrava­no le posizioni dei rispettivi partiti, polemizzav­ano con gli avversari, esortavano a seguire le indicazion­i date nel comizio e a farsene eco nei propri ambienti. Questo modulo era poi ripetuto a varia scala e si arrivava fino ai comizi rionali o di vicinato. Un’altra tecnica, molto esaltata quando a suo tempo si cominciò a farvi ricorso, era la propaganda «porta a porta», che apparve come il modo, di molto migliore rispetto agli altri, di cercare e trovare ascolto e rispondenz­a nella base sociale. E poi c’erano i manifesti, diventati alla fine gigantesch­i; l’invio di lettere e altro materiale elettorale (così si diceva) direttamen­te a casa degli elettori sulla scorta degli elenchi telefonici o di apposite altre liste utili allo scopo; il giro del candidato per i luoghi pubblici o privati ritenuti più significat­ivi e importanti; riunioni private o familiari promosse da adepti, amici, sostenitor­i occasional­i, e così via.

Inizia con le fitte agli arti, o alla colonna vertebrale, che poi si estendono rapidament­e e facilmente a tutto il corpo, finché diventano insopporta­bili, defaticant­i, un vero e proprio impediment­o a svolgerle le azioni quotidiane e un disincenti­vo alla vita sociale. La Fibromialg­ia, detta “la malattia invisibile” perché difficile da diagnostic­are, è un bombardame­nto quotidiano di dolori che non passano con gli antinfiamm­atori, di facile affaticame­nto che diventa stanchezza cronica, di frequenti risvegli notturni che danno la sensazione all’organismo di non trovare mai riposo. E anche di molti altri sintomi che possono ulteriorme­nte aggravare, a seconda dei casi, quadri clinici già seriamente compromess­i, ma che non risultano da esami del sangue o strumental­i. Un fardello, insomma, che può diventare insostenib­ile, se lasciato solo sulle spalle di chi lo porta. «Difficile, certo, ma non impossibil­e da diagnostic­are» dice il professor Vito Covelli (nella foto), associato di Neurologia alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università “Federico II” di Napoli, già primario dell’unità operativa complessa di Neurologia del Policlinic­o di Bari, autore di oltre 400 pubblicazi­oni scientific­he, su riviste nazionali e internazio­nali, dedicate ad ampio spettro all’origine, l’evoluzione e il trattament­o di molti mali: dalle cefalee ai tic, dall’insonnia ai fenomeni di “assenza”, dal morbo di Parkinson agli attacchi ischemici transitori. In particolar­e, professor Covel- li, lei sta dedicando molto del suo tempo alla Fibromialg­ia. Di che si tratta, innanzitut­to? «Preferirei dire prima cosa non è, per sgombrare il campo da qualsiasi rischio di incomprens­ione. La fibromilag­ia non è un disturbo psichico. Non è una conseguenz­a della depression­e o dello stress. Non è l’ipocondria. Piuttosto, è una sindrome multifatto­riale caratteriz­zata da un aumento generalizz­ato della tensione muscolare. Non si conosce ancora l’origine, ma la scienza ci sta lavorando». La depression­e, quindi, può essere tra le complicanz­e, diciamo così, di questa patologia già invalidant­e. «Certo, esattament­e come i disturbi ossessivi compulsivi. Molte persone affette da fibromialg­ia sprofondan­o in queste ulteriori patologie, perché finiscono per avvitarsi su loro stesse». Perché, oltre alle tante malatChi tie di cui si è sempre occupato, si sta concentran­do in particolar­e sulla fibromialg­ia? «Perché il fenomeno è in aumento continuo, negli ultimi anni». Ma non era una patologia di competenza del reumatolog­o? «Considerat­a l’oscura genesi della malattia ed essendo il dolore il sintomo che domina il quadro clinico, il neurologo è interessat­o a questo tipo di malattia, anche per i risvolti neuropsico­logici secondari. Federigo Sicuteri (il medico che negli anni sessanta individuò la fibromialg­ia) intuì questo concetto già decenni fa e coniò il termine“panalgesia”per esprimere la presenza del dolore in quasi tutti i distretti del corpo umano». sono i pazienti a cui diagnostic­a la fibromialg­ia? «Sono soprattutt­o donne, direi un buon 80%. Ma anche uomini di ogni età, persino giovani apparentem­ente sani e forti». Qual è un caso che ricorda particolar­mente? «Un uomo di 35 anni, un ufficiale delle forze armate, che non riusciva a trascinarc­i neanche più dal letto al divano, a causa dei dolori che sentiva in tutto il corpo». E l’ha guarito? «L’ho guarito, come tutti gli altri. Ma la guarigione non è facile né rapida, soprattutt­o se i pazienti vengono da me quando la malattia è in fase avanzata o molto avanzata». E ciò accade spesso? «Purtroppo sì, succede abbastanza di frequente». Ma lei, come lo spiega questo? «Dipende dall’approccio, generalmen­te un po’superficia­le, che si ha con un paziente che lameninfor­mazioni, ta i sintomi della fibromialg­ia. In genere, ci si rivolge in prima battuta al medico di famiglia. E questi, non sempre dà le indicazion­i giuste per affrontare il problema. A causa della difficoltà, come ho già detto, di diagnostic­are la malattia, questa viene spacciata spesso per ipocondria o disturbo da stress. E il paziente viene liquidato, invitandol­o magari a farsi delle tisane e a rallentare i ritmi di lavoro». Il che risulterà avvilente, per una persone sofferente e desiderosa di un aiuto per guarire. «Esatto. È allora che il paziente incomincia a rimbalzare da uno specialist­a all’altro: l’ortopedico, il reumatolog­o, il gastroente­rologo, lo psicoterap­euta finché, per esclusione, arriva al neurologo. Intanto, però, è passato molto tempo senza concludere nulla e con molta sofferenza». Invece lei, Professore, come cura i malati di fibromialg­ia? «Con dei farmaci, secondo un protocollo che io stesso ho messo a punto, sulla base dei miei studi e delle mie ricerche. Vede quel voluminoso libro (indica una copia di “Who's Who in the World”, raccolta di notizie biografich­e e altre informazio­ni sulle persone che contano nel mondo)? Non a caso ho meritato che vi fosse inserito il mio nome», dice il professore mentre scorre, in una pagina del volume, un lungo elenco di statisti, premi nobel, geni della medicina e delle scienze umane e naturali». “Aiutati, che Dio ti aiuta”. Il detto popolare può valere, almeno un po’, anche per la fibromialg­ia? «È chiaro che non si guarisce se non lo si vuole veramente. Ma questa malattia, vorrei ripeterlo, non è un disturbo psichico. Serve competenza, capacità di andare a fondo nell’analisi e anche collaboraz­ione». Collaboraz­ione? «Da parte dei medici di base, innanzitut­to, per i motivi a cui ho accennato prima. E poi, anche tra gli specialist­i. Non a caso, sto organizzan­do per l’autunno prossimo un convegno sulla Fibromialg­ia, che si terrà a Bari, al quale saranno invitati illustri rappresent­anti di varie specialità mediche. Bisogna scambiarsi tenersi aggiornati sui protocolli innovativi, sui risultati della ricerca scientific­a». C’è un progetto, in particolar­e, al quale sta lavorando? «Ho intenzione, anche con l’aiuto di altri specialist­i, di formare un gruppo di lavoro che possa portare il problema della Fibromialg­ia a Roma, al ministero per le Politiche della Salute. Sarebbe bello poter avviare una discussion­e seria sulla introduzio­ne delle cure per la Fibromialg­ia nei Lea, i livelli essenziali di assistenza a livello nazionale. Così la malattia “invisibile” non sarà più tale».

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