Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Per niente Candida
Egregia Candida, questa lettera non è la solita che riceve, perché riguarda i giovani. Un tempo, i ragazzi e le ragazze si arrangiavano facendo piccoli lavori. Ci ricordiamo il piccolo sciuscià del film di Vittorio De Sica o la piccola fiammiferaia della fiaba? Se non andavano a scuola, aiutavano nei campi, nelle pizzerie, nei saloni dei barbieri, nei negozi, nei chioschi, nei bar. Quando scendevo a piedi da Via della Veterinaria a Napoli, per andare a Via Partenope e frequentare i corsi di Economia, vedevo questi ragazzi meravigliosi con una loro dignità che portavano, volando, tazzulelle ’e cafè al cliente, facendo un largo giro per vedere o salutare la propria ragazza. A sera tardi, stanchi, andavano a dormire nei «vasci» che costellavano le viuzze affacciate su Via Foria. Il passato è passato. I ragazzi in età d’obbligo scolastico giustamente non debbono lavorare, ma studiare. La maggioranza fa il suo dovere, una minoranza ha un atteggiamento diverso. Perché? Mi ha colpito nella sua risposta a una lettrice una frase di Albert Einstein: «Io non pretendo di sapere cosa sia l’amore in generale, ma posso dirvi che cosa è per me: l’amore è sapere tutto su qualcuno e avere ancora la voglia di stare con lui più che con ogni altra persona». Mi ha colpito la parte «l’amore è sapere». Non molti di questi irraggiungibili adolescenti sanno che cosa è l’amore per una ragazza, per lo studio, per la vita? Non con cento agenti in più o abbassando l’età imputabile da 14 a 12 anni o accusando social e tv per i messaggi violenti si può renderli consapevoli. Devono comunque imparare a stare seduti a scuola per apprendere. Non tutti sono geni, ma neanche «ciucci». Vittorio Alfieri era un giovane scapestrato e diventò un grande drammaturgo, ma si faceva legare alla sedia per costringersi a studiare. C’è una genia confusa dove il sentimento dell’amore degli sciuscià, delle fiammiferaie, si sta sostituendo a quello altezzoso, irruento, senza scrupoli di ragazzi senza più ideali, senza più quella «tremarella» per fronteggiare la vita. Pasquale Cerullo Caro Pasquale, mi perdoni se per motivi di spazio ho dovuto tagliare la sua bella lettera, nella quale leggo una domanda fondamentale, ovvero: cosa c’entra l’amore con l’essere persone e cittadini responsabili verso se stessi e gli altri. «L’amore è il cuore di tutte le cose», scrisse all’amata Lili il poeta della rivoluzione Vladimir Majakovskij. Quell’ardua rivoluzione che è diventare grandi, ciascuno al meglio delle proprie possibilità, la si fa solo amando. Cioè volendo bene a se stessi e agli altri e affrontando sacrifici per ottenere il meglio per tutti. Anch’io sono stata un’adolescente che serviva tazzulelle ’e cafè e la sera, per la stanchezza, s’incatenava alla sedia per studiare. Mi piacevano i libri e, soprattutto, mi piaceva la letteratura, perché è fatta come la vita: gli eroi dei romanzi devono lottare per ottenere quello che vogliono, e se non fanno fatica, se non superano i propri limiti e imparano sempre di più, è finita la storia e non c’è nulla da leggere. La vita è uguale: ti scaglia contro degli ostacoli e, se ti arrendi subito, non impari nulla e hai smesso di evolverti e quindi di vivere. Sei vivo fuori, ma sei morto e infelice dentro, o porti in giro la morte, con mestieri che ti illudono di fare soldi facili ma che sono storie alla Gomorra dove il colpo di scena è fare salva la pelle. Ha ragione lei: «l’amore è sapere», l’amore è anche cultura. L’amore è la spinta di tutto: se sai amare te stesso, sai amare i tuoi cari, il tuo compagno di strada, sai amare un quartiere, una città, un Paese. Tanti bravi professori e maestri lo insegnano a scuola, ed è una salvezza, specie se non c’è chi lo fa in casa. Se ognuno, nel suo piccolo, rifugge odio, violenza, aggressività, rassegnazione, e ha fiducia in se stesso e negli altri, accende un fiammifero e quella piccola luce diventa un focolaio che riscalda intorno a sé, ne accende altri e si propaga. Non solo il male, ma anche l’amore è contagioso.
Mai un figlio con qualcuno di cui non si è sicuri: meglio tagliare la corda
Cara Candida, ho 40 anni e desidero un figlio, da tre anni ho un compagno che ho scelto anche perché è un ragazzo a posto, non ha figli e ha sempre detto di volere una famiglia. Da un anno, viviamo insieme ma non ne arrivano, e lui non vuole affrontare esami medici e la fecondazione assistita, secondo me necessaria, data la mia età. All’inizio, diceva che dovevamo vedere se arrivavano naturalmente, ora l’ho messo alle strette, ma lui ha detto che prima dobbiamo risolvere i problemi fra di noi. Infatti, qualche problema c’è. Spesso discutiamo, lui alza facilmente la voce, e non riusciamo ad avere un dialogo su un sacco di cose, anche semplicemente sugli orari della cena, su dove andare in vacanza, su quando vedere gli amici. Lui, sostanzialmente, è abituato a pensare per sé e non sopporta di condividere le decisioni. Però dice che è colpa mia, che non lo ascolto e lo critico su tutto. Più dà la colpa a me, più mi innervosisco e le cose vanno peggio, ma a me, sembra che questi problemi di possono risolvere dopo e che ora non c’è tempo da perdere se davvero vogliamo farci una famiglia. Che cosa mi consiglia? Francesca Consiglio praticità. Se davvero vuole un figlio, c’è poco tempo e deve dargli un ultimatum: o viene dal medico o non la ama abbastanza. Sappia, però, che una sola cosa è peggio che avere un compagno intrattabile, cioè che sia intrattabile il padre del proprio figlio. Potrete avere un bambino e lasciarvi, ma per almeno una ventina d’anni, le toccherà confrontarsi e prendere decisioni con lui. L’alternativa è tagliare la corda adesso e aprire il cuore all’universo delle possibilità. Fra l’altro, lei lo ama? Mi sembra di no, altrimenti ne amerebbe anche i difetti. Lei stessa ammette di innervosirsi sempre di più. Di questo passo, andrà sempre più lontano da quel punto che è il punto d’arrivo dell’amore e che Herman Hesse raccontava così: «A te solo debbo che il mio cuore non sia inaridito, che sia rimasto in me un punto accessibile alla grazia».