Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
UNA LEZIONE CHE NON DEVE ANDAR PERSA
Èdifficile trovare parole in grado di restituire il dolore e lo smarrimento che ti attanagliano quando, all’improvviso, scompare un maestro e un amico indimenticabile, qualcuno che ha segnato la tua formazione personale e, allo stesso tempo, quella di un’intera città. Perché Giuseppe Galasso era Napoli o, di sicuro, la sua parte migliore che ora, con la sua morte, si rinsecchisce ancora di più e cede fatalmente un altro po’ di spazio alla mediocrità delle parole a salve, del meschino moralismo di provincia che ben si sposa con gli arruffapopolo imperanti e del pressapochismo intellettuale che mal s’accorda con una schiena china sui libri per poi tenerla ben dritta quando la dignità l’impone. È vero, Galasso non amava il pessimismo, anzi rivendicava orgogliosamente un ottimismo della ragione che, nei suoi scritti, lo metteva al riparo dalle insidie di un ironico disincanto – tutto napoletano – che riservava alle conversazioni private. Questa ostinata volontà di non perdere mai di vista la
pars costruens , a volte, ci divideva nelle lunghe e frequenti telefonate che ci scambiavamo durante la settimana. Tuttavia credo che affondasse le radici in un senso di responsabilità etica legato alla sua formazione culturale – guai a dimenticare che era considerato da tutti l’erede del pensiero crociano – e alla funzione civica che assegnava ai ruoli di docente e di commentatore, due mestieri che in lui si fondevano alla perfezione nel profilo di un intellettuale rigoroso e appassionato.
Non a caso, l’impegno politico ha segnato molti anni della sua vita – gli dobbiamo una legge che tuttora difende i tesori del paesaggio italiano – senza mai scalfire la preziosa opera di ricerca sulla storia del nostro Paese. D’altronde, per nulla al mondo avrebbe rinunciato al lavoro tra gli amati libri: anche ieri mattina la sua scrivania era coperta di volumi aperti, spiegazzati dalla lettura, ammucchiati ordinatamente in piccole pile, tra i quali erano sparsi dei quadratini di carta bianca con le annotazioni scaturite dallo studio o con dei brevi memorandum sulle cose da fare. Sembrava, insomma, che il professore si fosse appena alzato dalla poltrona per una delle rare pause che si concedeva e che sarebbe tornato di lì a poco. Con quel sorriso che riduceva ogni distanza, quel «voi» dal sapore antico che era soltanto un’eco vezzosa del linguaggio popolare in voga al Sud e quella cortesia da galantuomo d’altri tempi. Ecco perché dico che Giuseppe Galasso era Napoli o, di sicuro, la sua parte migliore: ha preservato tenacemente la sua identità continuando a vivere il presente e lanciando lo sguardo verso il futuro. Se c’è una cosa di cui oggi si rammaricherebbe, oltre al dolore dei figli e dei nipoti, sono convinto che sarebbe la sua assenza alle elezioni del 4 marzo. Ne parlavamo spesso di quest’appuntamento durante le ultime settimane e avevamo addirittura progettato una pagina di dialogo tra, come diceva Giorgio Gaber, «un impegnato e un non so», con il sottoscritto nel secondo ruolo. Pensate che a 88 anni, con un cursus honorum di livello europeo e una fama consolidata da anni, ci sarebbero molti altri napoletani disposti a mettersi in discussione con eguale curiosità e libertà di pensiero? «Ma certo, direttore…», avrebbe replicato lui con incrollabile fede nel destino della città. Eppure proprio colui che attualmente rappresenta Napoli, il sindaco Luigi de Magistris, ieri non ha pronunciato una sola parola di commiato per chi è stato e resterà tra i personaggi più illustri della nostra comunità. Ha discusso di «Costituzione inattuata», ha annunciato la partecipazione del Comune alla manifestazione nazionale contro il debito Cr8, ma non ha trovato il tempo di dedicare un ricordo a chi ha reso nobile il nome di Napoli con il lavoro e la dedizione civica. Si è limitato a delegare l’assessore alla cultura, Nino Daniele, quasi che Giuseppe Galasso fosse una figura di secondo piano, non meritevole della sua attenzione.
Se lei fosse qui, caro professore, mi inviterebbe a lasciar perdere perché non ne vale la pena. Invece no, stavolta i fatti purtroppo danno ragione al mio pessimismo. Un sindaco degno di questo nome avrebbe dovuto allestire una camera ardente nella Sala dei Baroni – che l’ha vista per anni sedere tra i banchi come assessore e consigliere – per consentire alla Napoli migliore di renderle il giusto omaggio, che invece verrà probabilmente tributato dalla Società di Storia Patria, ospitata nel Maschio Angioino.
Un sindaco che evoca a vanvera Che Guevara e Ocalan, Zapata e Maduro, avrebbe dovuto sottolineare con un addio istituzionale il ruolo che lei ha svolto, da napoletano, nel panorama culturale europeo. L’hanno fatto le più alte autorità del Paese – da Mattarella a Gentiloni, da Napolitano a Franceschini – ma ha evitato di farlo l’uomo che – secondo il dettato costituzionale che interpreta a suo piacimento – dovrebbe rappresentare l’intera città e non soltanto la risicata quota che l’ha eletto. Ecco, al di là del vuoto che la scomparsa di Giuseppe Galasso spalanca non soltanto nel nostro giornale, è questo l’elemento che più inquieta: il sospetto che si stia smarrendo la ragione sociale della nostra comunità in nome di una volgare mediocrità di parte che ormai s’insinua in ogni angolo del tessuto connettivo (compresi i giornali), un vortice di invidie, omissioni e maldicenze che sembra impedire la nascita di nuove figure destinate a raccogliere e aggiornare l’eredità civica e culturale dei maestri che ci stanno lasciando.
Per quanto mi riguarda, posso soltanto dire di essere felice di aver trascorso questi anni di direzione accanto a Giuseppe Galasso, di aver pubblicato ogni domenica la sua rubrica «Il tempo e le idee» e i suoi magnifici editoriali ogni qualvolta glieli chiedevo. Ho imparato tanto dalla sua generosità intellettuale e dalla sua cortesia, oltre che dal rigore morale e culturale dei suoi consigli. Di questo devo ringraziare Marco Demarco, che nel 2002 regalò la firma del professore a queste pagine, e Antonio Polito, che le ha dato ulteriore lustro. Ai nostri lettori prometto che Giuseppe Galasso continuerà a vivere nel lavoro quotidiano del Corriere del Mezzogiorno. La sua voce e il suo sorriso non andranno persi nelle acque limacciose sulle quali siamo costretti a navigare.
È un impegno che non tradiremo, caro professore. Ma adesso, ovunque lei sia, abbia buon vento per il suo ultimo viaggio.