Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
«Stato indegno E io rinuncio alla cittadinanza»
Il padre di Davide, ucciso da un’auto pirata, scrive al presidente Mattarella
Due pagine gonfie di dolore, poi la richiesta: «Toglietemi la cittadinanza italiana». Meglio essere apolide che appartenere allo Stato italiano. La richiesta è stata avanzata da Giovanni D’Accolti, di Conversano. È il papà di Davide (i due al centro in una foto di famiglia), giovane ucciso a 22 anni da un’auto pirata, due anni fa, sulla statale 16. La vettura assassina viaggiava contromano.
Due pagine livide, la citazione alcune leggi, qualche riferimento burocratico e una richiesta dolente: «Toglietemi la cittadinanza italiana». Meglio essere apolide, un senza terra, che appartenere allo Stato italiano, «indegno».
La richiesta è stata avanzata da Giovanni D’Accolti, di Conversano, funzionario pubblico di 57 anni. È il papà di Davide, giovane musicista e studente di ingegneria, ucciso a 22 anni da un’auto pirata, due anni fa, sulla statale 16, vicino Torre a Mare. Era la notte del 21 febbraio 2016: il ragazzo rientrava a Conversano, proveniente da Bari, dove aveva riaccompagnato la fidanzata a conclusione di una serata di prove, in attesa del debutto di lei come soprano al Petruzzelli. Ad ucciderlo un’auto che aveva marciato contromano sulla statale per 10 lunghi chilometri e che viaggiava a 160 all’ora nel momento dell’impatto. A bordo un trentenne di Noicattaro positivo ad alcool e droga: si è salvato.
D’Accolti ha rivolto petizioni, ha scritto ai giornali, è andato in tv. Ha chiesto di sapere. Ha sollecitato chiarimenti. «Abbiamo perso un figlio scrisse due anni fa al prefetto di Bari, al questore, ai Carabinieri, alla Regione, alla Città metropolitana - pretendiamo che si faccia il massimo per evitare che altri figli si perdano». Era la richiesta di controlli, di indagini sulla vendita di droga, sullo smercio di alcool. Nessuna risposta. Neppure quando un anno fa, D’Accolti decise di comprare una pagina del Corriere del Mezzogiorno. Ora ricorre ad un gesto estremo, non previsto ma non impedito dalla legge: rinunciare alla cittadinanza per farsi dichiarare apolide. Ha scritto al presidente della Repubblica, al ministero degli Interni, al suo Comune di residenza. La relazione che accompagna la richiesta è intitolata «Indegnità dello Stato italiano».
Una lettera plumbea che nasce dal dolore inconsolabile di un padre cui hanno sottratto il figlio. Ma anche da alcune constatazioni per così dire “tecniche”. Quella notte infausta ci fu un allarme ai carabinieri per quell’auto contromano. I militari,
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così dissero al telefono, già sapevano: perché non intervennero subito? All’imputato (e questo stupisce) non è stata neppure ritirata la patente. Perché? All’udienza, la famiglia D’Accolti ha rinunciato alla proposta di indennizzo dell’assicurazione (come a dire, non è questione di soldi) e ora si aspetta «che la compagnia si costituisca contro di noi e non contro chi l’ha danneggiata con il proprio comportamento». «Nel procedimento scrive D’Accolti - lo Stato italiano non ha mai chiesto all’imputato da chi abbia comprato la droga e in quale esercizio commerciale abbia consumato tanto alcool». Mentre la famiglia si aspettava che si procedesse d’ufficio di fronte ad un reato accertato, l’acquisto di droga. Lo Stato non ha risposto, spiega il funzionario, neppure all’interrogazione parlamentare presentata dal senatore Dario Stefàno. Le istituzioni sono assenti o silenti: ecco perché D’Accolti si dice convinto della loro «diffusa corresponsabilità morale nell’assassinio di mio figlio». E per poter pensare a Davide «senza vergogna, non mi resta che rinunciare alla cittadinanza italiana». Il 21 febbraio il giovane musicista sarà ricordato nella sua Conversano.