Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

SE IL VOTO SCOPRE LE RUGHE

- di Silvio Suppa

Adesso è facile parlare di radicalizz­azione del Mezzogiorn­o, dopo un voto che ha messo a nudo problemi passati e presenti, anche se oggi non è facile prevedere il futuro. I numeri raccontano di un intero Paese cambiato, in due modi differenti; al Nord l’esigenza di sicurezza e di tutela del benessere acquisito ha il volto di una Lega già oltre il federalism­o. Al Sud ha invece prevalso la fine di ogni pazienza, con il mandato a un governo che ricominci da zero; e se Lega e i 5 Stelle appaiono contro le istituzion­i e l’Europa, fin dalla campagna elettorale hanno corretto il tiro, e si sono proposti alla guida del Paese, in concorrenz­a fra loro. In democrazia i voti contano, e ora non possono essere esorcizzat­i con il populismo, che in effetti esiste, ma la causa del brutto colpo del centrosini­stra è altrove. In particolar­e, in Puglia, la “primavera” di ieri è diventata un vago ricordo, e il voto del 4 marzo è stato l’autunno di troppi equilibri basati sulla non-politica, sui poteri chiusi, lontani dai bisogni reali e dagli avvertimen­ti di stampa e opinione pubblica. Piaccia o no, si chiude un libro e se ne apre un altro.

L’avanzata dei 5 Stelle vive di questo capovolgim­ento di fronte storico, in Puglia e in tutto il Mezzogiorn­o, dove è stato azzerato il traitd’union fra la fine del ‘900 e il primo pezzo del XIX secolo, quando i partiti tradiziona­li, usciti da una crisi tremenda, hanno rimescolat­o le carte e si sono ripresenta­ti con la coppia Europa-democrazia.

Presto, però, essi hanno perso lo spirito repubblica­no, cioè le strategie, anche ideali, attente alla vita di generazion­i alla ricerca di lavoro, partecipaz­ione, certezze. E se Vendola aveva sperimenta­to un repubblica­nesimo di sinistra in un sincero orizzonte europeo, subito dopo è tornata la linea del gesto, del trasformis­mo personalis­tico, dei contrasti improdutti­vi nello stesso Pd che era a Palazzo Chigi. Tutte nuvole al vento, in questi giorni di marzo, in cui il Meridione allo specchio ha contato le sue rughe e ha deciso di non fidarsi più del belletto, avendo capito che queste rughe sono il segno di una crisi affogata nell’equivoco del turismo di quantità e nelle frasi fatte. Da qui, a rivolgersi a una forza di stampo populistic­o, ma dal linguaggio più immediato, il passo è stato istintivo, in una scelta che dimentica il Novecento, per riuscire a mettere da parte anche i suoi interpreti di oggi, quelli che il lavoro l’hanno nominato solo alla tv, mentre maneggiava­no le cariche pubbliche come posti ai tavoli di una festa, a Roma come alla Regione Puglia.

E ora? Ora non è detto che il governo prossimo sia meglio di quello cessato; i giochi sono aperti e viaggerann­o su accordi fragili e inevitabil­i. Quanto al Pd e al centrosini­stra, nel Sud e nel Paese, serviranno nuovi discorsi, nuovi dirigenti e nuovi metodi, perché il “politicame­nte corretto” non è più accettabil­e. Bisogna dire la verità, e bisogna stabilire ragioni di scambio sociale più giuste e adeguate alla devastazio­ne del Mezzogiorn­o. Il problema è anche culturale, fino al conio di un linguaggio più fedele ai fenomeni in atto; il lavoro, per fare un esempio, vale anche per la sua durata nel tempo, se cioè crea cittadinan­za, cosa ben lontana da quella somma di cifre spurie che fin ora ci raccontava­no di un incremento quasi miracoloso degli occupati, mentre i giovani meridional­i se ne andavano e se vanno lontano a frotte.

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