Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
SE IL VOTO SCOPRE LE RUGHE
Adesso è facile parlare di radicalizzazione del Mezzogiorno, dopo un voto che ha messo a nudo problemi passati e presenti, anche se oggi non è facile prevedere il futuro. I numeri raccontano di un intero Paese cambiato, in due modi differenti; al Nord l’esigenza di sicurezza e di tutela del benessere acquisito ha il volto di una Lega già oltre il federalismo. Al Sud ha invece prevalso la fine di ogni pazienza, con il mandato a un governo che ricominci da zero; e se Lega e i 5 Stelle appaiono contro le istituzioni e l’Europa, fin dalla campagna elettorale hanno corretto il tiro, e si sono proposti alla guida del Paese, in concorrenza fra loro. In democrazia i voti contano, e ora non possono essere esorcizzati con il populismo, che in effetti esiste, ma la causa del brutto colpo del centrosinistra è altrove. In particolare, in Puglia, la “primavera” di ieri è diventata un vago ricordo, e il voto del 4 marzo è stato l’autunno di troppi equilibri basati sulla non-politica, sui poteri chiusi, lontani dai bisogni reali e dagli avvertimenti di stampa e opinione pubblica. Piaccia o no, si chiude un libro e se ne apre un altro.
L’avanzata dei 5 Stelle vive di questo capovolgimento di fronte storico, in Puglia e in tutto il Mezzogiorno, dove è stato azzerato il traitd’union fra la fine del ‘900 e il primo pezzo del XIX secolo, quando i partiti tradizionali, usciti da una crisi tremenda, hanno rimescolato le carte e si sono ripresentati con la coppia Europa-democrazia.
Presto, però, essi hanno perso lo spirito repubblicano, cioè le strategie, anche ideali, attente alla vita di generazioni alla ricerca di lavoro, partecipazione, certezze. E se Vendola aveva sperimentato un repubblicanesimo di sinistra in un sincero orizzonte europeo, subito dopo è tornata la linea del gesto, del trasformismo personalistico, dei contrasti improduttivi nello stesso Pd che era a Palazzo Chigi. Tutte nuvole al vento, in questi giorni di marzo, in cui il Meridione allo specchio ha contato le sue rughe e ha deciso di non fidarsi più del belletto, avendo capito che queste rughe sono il segno di una crisi affogata nell’equivoco del turismo di quantità e nelle frasi fatte. Da qui, a rivolgersi a una forza di stampo populistico, ma dal linguaggio più immediato, il passo è stato istintivo, in una scelta che dimentica il Novecento, per riuscire a mettere da parte anche i suoi interpreti di oggi, quelli che il lavoro l’hanno nominato solo alla tv, mentre maneggiavano le cariche pubbliche come posti ai tavoli di una festa, a Roma come alla Regione Puglia.
E ora? Ora non è detto che il governo prossimo sia meglio di quello cessato; i giochi sono aperti e viaggeranno su accordi fragili e inevitabili. Quanto al Pd e al centrosinistra, nel Sud e nel Paese, serviranno nuovi discorsi, nuovi dirigenti e nuovi metodi, perché il “politicamente corretto” non è più accettabile. Bisogna dire la verità, e bisogna stabilire ragioni di scambio sociale più giuste e adeguate alla devastazione del Mezzogiorno. Il problema è anche culturale, fino al conio di un linguaggio più fedele ai fenomeni in atto; il lavoro, per fare un esempio, vale anche per la sua durata nel tempo, se cioè crea cittadinanza, cosa ben lontana da quella somma di cifre spurie che fin ora ci raccontavano di un incremento quasi miracoloso degli occupati, mentre i giovani meridionali se ne andavano e se vanno lontano a frotte.