Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
San Giuseppe, la festa dei falò
Un’antica ricorrenza che mescola tradizioni cristiane e riti pagani In molte città intorno alle fiamme tanta animazione e cibi genuini
Ogni 19 marzo, all’imbrunire, la Puglia è illuminata dai tradizionali falò di San Giuseppe. Questa ricorrenza mescola tradizioni cristiane e riti silvestri pagani. Nello stesso giorno, infatti, si festeggia il santo, padre putativo di Gesù, e di riflesso tutti i papà, ma anche il passaggio dall’inverno alla primavera.
Il culto di San Giuseppe, praticato nella Chiesa d’Oriente già nel IV secolo e diffuso in Occidente nell’anno Mille, si celebra infatti appena uno o due giorni prima dell’equinozio di primavera, che ha ispirato riti ben più antichi, preromani, nella Penisola italica (e in quella iberica).
Non fa eccezione la Puglia. Anche qui, in molte città, la festa e l’inizio della nuova stagione sono salutate con il fuoco, simbolo di purificazione che allontana il male e favorisce prosperità e fertilità, e in cui spesso si brucia un fantoccio, simbolo dell’inverno. E intorno ai falò si accende la festa, cadenzata da program- mi religiosi e civili, e animata spesso da fuochi pirotecnici, balli, canti tradizionali e degustazioni di prodotti tipici locali.
Tra i principali centri del foggiano in cui si svolge il rituale, ricordiamo Alberona, Bovino, Mattinata, Faeto, Monte Sant’Angelo e Troia.
Ma anche Serracapriola, dove c’è la tradizione del “salto del falò”, in cui i più temerari sfidano il pericolo delle fiamme. O Bovino, dove si premia il miglior falò, ossia il più grande, resistente e quello attorno al quale si raccolgono più persone. O Casalvecchio, dove si accendono i fuochi di San Giuseppe tra i più celebri d’Italia.
A Castelluccio Valmaggiore la festa di San Giuseppe risale al 1600, quando nel paese c’erano tante maestranze, soprattutto falegnami. Le donne si radunavano intorno al fuoco e intonavano canti o pregavano. A fine serata, si portava via della brace per le proprie case, per cuocere patate da mangiare in famiglia.
Oggi, invece, intorno ai falò si ascolta musica e si degustano panini con salsiccia e vino locale.
Tanti anche i centri in terra di Bari, in cui ardono pire tra animazioni e cibi genuini, come fave e cicoria, pancotto, lampascioni arrostiti, fagiolata e pizze fritte paesane. A Monopoli si accendono ben 12 falò nel centro storico. Si distinguono anche Turi, Locorotondo, Palese e Santeramo, dove le braci servono anche a cucinare carne e pane.
Innumerevoli i Comuni salentini animati dalla festa, tra cui Erchie nel Brindisino e San Cassiano di Lecce. Nel Tarantino sono imperdibili i falò di Lizzano, Mottola e San Marzano. In quest’ultima, il «Zjar i Madhe» (in arbereshe, il fuoco grande) è alimentato da fascini di ulivo trasportati da carri tirati da 50 cavalli, che portano anche l’immagine del santo per le vie del paese, mentre suonatori di organetto, cupa cupa e tamburelli suonano pizziche devozionali e le donne intonano canti di origine arbereshe e si esibiscono nella «pizzica scherma», danza che si svolge solo davanti alle fiamme.
Nel rione San Giuseppe di Mottola, durante la serata, si arrostiscono i ceci, piatto tipico della festa. A Fragagnano, invece, si espongono in piazza anche tavole votive con l’offerta dei piatti ai poveri dopo la benedizione, e la sera, in alcune case di devoti, si degusta la tipica massa, fettuccine fatte in casa, condite con olio d’oliva fritto e pepe.