Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Luca Barbarossa al Palazzo «Canto Roma con ironia»
Luca Barbarossa apre venerdì al Palazzo la sua tournée nei teatri italiani
Roma è de tutti. A portare in giro per l’Italia lo spirito sornione e la lingua della Roma popolare ci pensa Luca Barbarossa con l’omonimo nuovo lavoro discografico, che contiene la sanremese Passame er sale. Storie di vita capitolina, duetti con Mannarino e Fiorella Mannoia, un brano scritto a quattro mani con il compianto regista Luigi Magni («un intellettuale che sapeva parlare a tutti, oggi non ce ne sono più»), tanti spunti per il disco più «spontaneo» della carriera di un artista portatore sano di una romanità mai caciarona. Parte con una due giorni barese «all’insegna del buon cibo e della convivialità», il viaggio in musica del cantautore che presenterà il disco domani alle 18.30 alla libreria Feltrinelli e venerdì 16 sarà in concerto al teatro Palazzo di Bari alle 21 (biglietti su ticketone e bookingshow, info www. piemmeeventi.it) per la prima tappa del nuovo tour che si concluderà a Roma.
Bari e Luca Barbarossa: c’è qualcosa che la lega particolarmente alla città?
«Sarò sincero: Bari è la città che più mi ricorda i miei esordi. Al Petruzzelli nel 1981 facevo da supporter a Riccardo Cocciante, mi sembrava di sognare. Entravo in un teatro dalla grande storia. In quel momento Riccardo era primo in classifica con Cervo a primavera e io mi affacciavo su un palcoscenico così importante per la prima volta». Ha già programmi per questi due giorni?
«E’ davvero un piacere cominciare qui il tour. Da allora sono tornato tante volte in Puglia e il pubblico mi ha sempre voluto bene, inondandomi di affetto. Me la prenderò comoda. Ho già molti appuntamenti, amici da rivedere, posti in cui tornare. Ma io ho un problema: penso sempre a mangiare. E ho una vera passione per la cucina pugliese. Il resto quindi lo puoi immaginare». Un disco in dialetto potrebbe
sembrare qualcosa che guarda al passato.
«E’ la prima volta che mi cimento con la scrittura nel dialetto romano. Di romanesco c’è poco, è un italiano sporcato da accento locale, una parlata. Ma le sonorità sono internazionali, si rifanno alla world music, guardando a Leonard Cohen, Tom Waits o a un faro come Pino Daniele, per citare un artista che ha tracciato una via nuova per la canzone in dialetto. Non abbiamo spostato indietro le lancette dell’orologio: Roma è
de tutti è un disco di oggi in
ogni senso».
Cos’è rimasto oggi della grande tradizione del romanesco?
«La lingua del Belli, quella dell’Ottocento più complessa e articolata, si è un po’ persa. Quello che frequentiamo oggi è il romano, un’inflessione che viene dalle strade della città. Per venire alla canzone, Gabriella Ferri, la più grande per me, ha dato una straordinaria dignità al cantato romano. Ma qui io canto le mie canzoni senza tentazioni nostalgiche». Ci parli del suo show, come è stato pensato?
«La prima parte è un vero e proprio racconto cinematografico della romanità che segue la scaletta del disco. Storie quotidiane e universali, l’amore, vite da fame vissute alla periferia del mondo, vizi e virtù di un popolo che credo di conoscere molto bene. Porto in teatro una romanità fatta di cultura popolare, di ironia, di cose buone da mangiare, è quasi doveroso farlo in questo periodo. La seconda parte sarà dedicata al mio repertorio».
L’ironia scanzonata de La dieta o La pennica e scorci drammatici come la storia di un carcerato suicida a Regina Coeli di Se penso a te; come convivono questi due universi in un disco?
«Nel 1988 pubblicai un disco in cui c’erano Amore rubato su uno stupro, e Yuppies in cui prendevo in giro il nuovo rampantismo. E’ la mia cifra, e quella dei romani: l’ironia cattivella, un po’ cinica di chi osserva la realtà dal basso e ride per non piangere». C’è qualcosa di Roma che non si conosce?
«C’è qualcosa di dimenticato: lo sguardo ironico sulla realtà, offuscato da anni di suburre, mafie capitali, romanzi criminali».