Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
In quei ritratti dell’Uomo Moro l’insegnamento della pace
Il 16 marzo 2018 è stato un giorno di grande commemorazione. Quaranta anni dopo via Fani, le immagini di un tragico pezzo di storia scorrono come se fossero dinanzi ai nostri occhi; i corpi di generosi servitori dello Stato crivellati da proiettili, le auto distrutte e Aldo Moro rapito e portato non si sa dove. L’articolato mosaico di teorie e riflessioni sulla vita di quegli anni, le relazioni fra i poteri, la mancanza di un tratto di politica alta che sappia porre al centro la persona continuano a risvegliare le nostre coscienze. In molti prevale una componente istintiva di rabbia dinanzi alla strage che non si può comunque cancellare, in altri un ragionamento sulla ‘svolta’ epocale che costituì l’inizio di una metamorfosi culturale e politica dell’Italia, persino qualcuno che giustifica l’accaduto all’altare della ineluttabilità della Storia.
Noi preferiamo piuttosto riconoscerci attraverso l’immagine dell’Uomo Moro, che percorreva le aule e i corridoi della sua Università per costruire una rete di dialogo, sperimentare un vocabolario inedito e affascinante per i giovani che lo circondavano e applaudivano, pensando a un diverso, nuovo materiale culturale da mettere al servizio dei popoli. Per comprendere meglio i gesti – perché anche quella rabbia diventi feconda, generi un’intelligenza utile, una fiducia calma e trasparente – abbiamo anche legato in questi mesi all’Università di Bari la vicenda umana, scientifica e politica di Aldo Moro con il suo ricordo. Si è trattato non solo di un iconico omaggio che si è protratto per un intero anno, ma forse a ben pensarci anche di penetrare una contingenza del nostro Paese, purtroppo sempre attuale, e delle coscienze, che è sempre misteriosa per la ragione di modellarsi sulla realtà nel modo più esatto possibile, di metabolizzarsi sulle circostanze mutevoli di una società democratica. Così la “giusta regola dell’agire” che riconosciamo in Aldo Moro, le sue esperienze come docente, la capacità di fare fronte all’attività accademica e agli impegni politici, la cultura della legalità e della partecipazione, l’unità nella diversità, il cambiamento nella solidarietà, aiutano oggi a fare memoria. “Fare memoria” significa fermarsi, fermarsi per pensare e per promuovere confronti, per condividere la sua riflessione. A chi percorre il corridoio lungo dell’Ateneo barese non passerà inosservata una serie di grandi foto con Aldo Moro nei luoghi e per le solennità celebrate all’Università. Le mostro con orgoglio ai nostri ospiti, le guardo spesso, le sbircio con la coda dell’occhio quando, negli eventi ufficiali, ci si reca a deporre il ricordo nel suo studiolo con l’accesso diretto alla cappella universitaria. Su tutte batte sempre la luce degli atri interni che imprime una straordinaria energia all’Uomo, che appare anche minuto ma che trasmette una carismatica potenza fisica allo sguardo, e non per trucco fotografico. Mi colpisce il suo rapporto confidenziale con i ‘potenti’ che lo accompagnano come con gli ‘umili’ che lo acclamano, il suo modo di tenere le braccia e le mani sulle spalle di una bimba, che sarebbe stata il suo domani e la nostra speranza. Occorre provare a fermarsi davanti a quei ritratti e a meditare, non solo oggi, per il ricordo di un atroce destino di tanti eroi nel divenire tumultuoso di un’Italia che metteva a dura prova i cardini della sua giovane democrazia. Ebbene, se incredulità e abbandono furono quarant’anni fa i sentimenti che colpirono, se l’immagine immota dell’Uomo riverso, quasi deposto sul luogo del ritrovo, e il sacro rito di una benedizione suscitarono la pietà umana, occorre che tutti insieme, oggi, domani e ancora domani, teniamo ferma la fede del nostro personale libero contributo e del nostro libero pensiero a favore della pace, della tolleranza, della cultura, della speranza.
Grazie caro Aldo Moro, ti sentiamo sempre con noi.