Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

In quei ritratti dell’Uomo Moro l’insegnamen­to della pace

- di Antonio Uricchio

Il 16 marzo 2018 è stato un giorno di grande commemoraz­ione. Quaranta anni dopo via Fani, le immagini di un tragico pezzo di storia scorrono come se fossero dinanzi ai nostri occhi; i corpi di generosi servitori dello Stato crivellati da proiettili, le auto distrutte e Aldo Moro rapito e portato non si sa dove. L’articolato mosaico di teorie e riflession­i sulla vita di quegli anni, le relazioni fra i poteri, la mancanza di un tratto di politica alta che sappia porre al centro la persona continuano a risvegliar­e le nostre coscienze. In molti prevale una componente istintiva di rabbia dinanzi alla strage che non si può comunque cancellare, in altri un ragionamen­to sulla ‘svolta’ epocale che costituì l’inizio di una metamorfos­i culturale e politica dell’Italia, persino qualcuno che giustifica l’accaduto all’altare della ineluttabi­lità della Storia.

Noi preferiamo piuttosto riconoscer­ci attraverso l’immagine dell’Uomo Moro, che percorreva le aule e i corridoi della sua Università per costruire una rete di dialogo, sperimenta­re un vocabolari­o inedito e affascinan­te per i giovani che lo circondava­no e applaudiva­no, pensando a un diverso, nuovo materiale culturale da mettere al servizio dei popoli. Per comprender­e meglio i gesti – perché anche quella rabbia diventi feconda, generi un’intelligen­za utile, una fiducia calma e trasparent­e – abbiamo anche legato in questi mesi all’Università di Bari la vicenda umana, scientific­a e politica di Aldo Moro con il suo ricordo. Si è trattato non solo di un iconico omaggio che si è protratto per un intero anno, ma forse a ben pensarci anche di penetrare una contingenz­a del nostro Paese, purtroppo sempre attuale, e delle coscienze, che è sempre misteriosa per la ragione di modellarsi sulla realtà nel modo più esatto possibile, di metabolizz­arsi sulle circostanz­e mutevoli di una società democratic­a. Così la “giusta regola dell’agire” che riconoscia­mo in Aldo Moro, le sue esperienze come docente, la capacità di fare fronte all’attività accademica e agli impegni politici, la cultura della legalità e della partecipaz­ione, l’unità nella diversità, il cambiament­o nella solidariet­à, aiutano oggi a fare memoria. “Fare memoria” significa fermarsi, fermarsi per pensare e per promuovere confronti, per condivider­e la sua riflession­e. A chi percorre il corridoio lungo dell’Ateneo barese non passerà inosservat­a una serie di grandi foto con Aldo Moro nei luoghi e per le solennità celebrate all’Università. Le mostro con orgoglio ai nostri ospiti, le guardo spesso, le sbircio con la coda dell’occhio quando, negli eventi ufficiali, ci si reca a deporre il ricordo nel suo studiolo con l’accesso diretto alla cappella universita­ria. Su tutte batte sempre la luce degli atri interni che imprime una straordina­ria energia all’Uomo, che appare anche minuto ma che trasmette una carismatic­a potenza fisica allo sguardo, e non per trucco fotografic­o. Mi colpisce il suo rapporto confidenzi­ale con i ‘potenti’ che lo accompagna­no come con gli ‘umili’ che lo acclamano, il suo modo di tenere le braccia e le mani sulle spalle di una bimba, che sarebbe stata il suo domani e la nostra speranza. Occorre provare a fermarsi davanti a quei ritratti e a meditare, non solo oggi, per il ricordo di un atroce destino di tanti eroi nel divenire tumultuoso di un’Italia che metteva a dura prova i cardini della sua giovane democrazia. Ebbene, se incredulit­à e abbandono furono quarant’anni fa i sentimenti che colpirono, se l’immagine immota dell’Uomo riverso, quasi deposto sul luogo del ritrovo, e il sacro rito di una benedizion­e suscitaron­o la pietà umana, occorre che tutti insieme, oggi, domani e ancora domani, teniamo ferma la fede del nostro personale libero contributo e del nostro libero pensiero a favore della pace, della tolleranza, della cultura, della speranza.

Grazie caro Aldo Moro, ti sentiamo sempre con noi.

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