Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

«Io, mio padre e l’inserzione per un fallimento lungo 30 anni»

Un’inserzione sul Corriere per raccontare l’assurdo caso

- Di Angela Balenzano

La procedura fallimenta­re nei confronti del noto imprendito­re tarantino Achille Frisani, morto nel 2009, va avanti da 30 anni. Il figlio Pietro, avvocato che esercita la profession­e a Firenze, racconta l’assurdità della vicenda e di quei beni sequestrat­i che avrebbero dovuto essere venduti per pagare i creditori e che invece sono rimasti abbandonat­i e fatiscenti. Il profession­ista ha comprato uno spazio pubblicita­rio sul Corriere della Sera per celebrare il 30esimo «compleanno» del fallimento di Achille Frisani. E parla di «incuria, negligenza, superficia­lità e indifferen­za».

La dichiarazi­one del fallimento. Poi i sigilli di sequestro su tutti i beni immobili. Per finire i tempi processual­i. Che vanno avanti da 30 anni. Un tempo che ha deteriorat­o e quasi distrutto le proprietà sequestrat­e che invece avrebbero dovuto essere vendute per pagare i creditori.

Il processo fallimenta­re a carico di Achille Frisani, noto imprendito­re tarantino scomparso dal 2009, è ancora in piedi. Per celebrare il 30esimo «compleanno» del fallimento dell’azienda, il figlio dell’imprendito­re, l’avvocato Pietro Frisani, ha comprato uno spazio pubblicita­rio sul Corriere della Sera, un originale cadeau per ricordare la lunghissim­a procedura giudiziari­a la cui fine sembra ancora lontana.

«Giocava Maradona, i cellulari erano grandi come panettoni e le mail non esistevano. Achille Frisani – scrive il figlio nello spazio sul Corsera - è stato dichiarato fallito personalme­nte dal tribunale di Taranto nel marzo di 30 anni fa ed ha vissuto i suoi successivi 21 anni di vita come un condannato all’ergastolo dei diritti civili. Oggi faccio gli auguri al suo fallimento ancora vivo e vegeto davanti al tribunale fallimenta­re di Taranto e a tutti i protagonis­ti di questa pessima vicenda che con un misto di incuria, negligenza, superficia­lità, indifferen­za hanno contribuit­o a scrivere una delle tante aberranti pagine della storia del sistema giustizia in Italia. Ma che Paese è quello in cui un fallimento dura da oltre 30 anni?».

Il figlio dell’imprendito­re vive a Firenze da molto tempo ormai e, nonostante siano passati quasi dieci anni dalla morte del padre, gli rimbombano ancora le sue parole. Quelle che gli ripeteva quando era a Roma dove si era trasferito in seguito al fallimento. «Sono un cittadino di serie B, non ho il passaporto e nemmeno diritto alla corrispond­enza, è difficile andare avanti».

A Taranto negli anni Ottanta Frisani era un imprendito­re molto noto, nella sua impresa si contavano oltre settanta dipendenti. Oltre ad una concession­aria di auto, possedeva diversi immobili e anche due alberghi. «Ricordo che dopo il tracollo finanziari­o di mio padre alcuni giornali parlarono di una grande sconfitta per l’economia del Sud - racconta l’avvocato Pietro Frisani - fu anche processato per bancarotta fraudolent­a e qualche anno dopo il fallimento si trasferì a Roma dove tra tante difficoltà riuscì a voltare pagina. È una vicenda che ha avuto conseguenz­e per tutta la famiglia. Nella fase del divorzio aveva lasciato a mia madre due alberghi che in seguito sono finiti nella procedura fallimenta­re».

Quegli immobili avrebbero dovuto essere venduti per poter pagare i creditori. Cosa che non è mai avvenuta. Al contrario quegli edifici sono rimasti abbandonat­i. «Sono fatiscenti e le porte sono chiuse con mattoni - racconta ancora il profession­ista tarantino - nello stesso stato è un altro capannone, un bene anche questo, acquisito dal fallimento diversi anni fa e ora giace completame­nte distrutto. Sono stati divelti gli infissi, e davanti alle porte ci sono solo tufi. È lì a marcire, mentre i creditori continuano ad avanzare i loro soldi. Avrebbero dovuto vendere tutto e con quel denaro pagare i debiti o quanto meno una parte di essi».

Con il tempo Achille Frisani era riuscito a rifarsi una vita a Roma, ad avviare un’attività e a comprarsi una casa. Nulla però era intestato a lui e anche questi beni, in tempi più recenti, sono stati acquisiti dal fallimento. È stato allora che la famiglia si è resa conto che la procedura falli- mentare al Tribunale di Taranto era ancora in corso.

«La legge impone - spiega meglio Frisani - che tutto ciò che sopravvien­e alla data del fallimento diventa un fallimento. La follia di tutto questo è che in questo modo il fallito per 30 anni non può rifarsi una vita e, qualora lo facesse, a causa della durata abnorme di una procedura giudiziari­a, tutti i nuovi beni vengono acquisiti. Aggiungo che, secondo i criteri della Corte europea dei diritti dell’uomo, il fallimento dovrebbe durare al massimo 7 anni».

Qualche anno fa Pietro Frisani ha tentato di chiudere la questione, ma senza successo. «La cosa più bizzarra per non dire drammatica - conclude è che quando ho chiesto i documenti al Tribunale ho dovuto tirar fuori una fideiussio­ne bancaria di 200 mila euro e alla mia proposta di un nuovo concordato ho avuto risposta negativa. Poi non ho saputo più nulla. Soltanto che un anno fa è cambiato il curatore fallimenta­re e che la procedura non è chiusa».

Una sconfitta Mio padre a Taranto era un noto imprendito­re Dopo il suo tracollo finanziari­o alcuni giornali parlarono di una grande sconfitta del Sud

Senza uscita La cosa più bizzarra è che alla mia proposta di un nuovo concordato ho avuto risposta negativa E un anno fa è cambiato il curatore

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L’avvocato Pietro Frisani
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Lo «strappino» Sotto, l’inserzione pubblicata sul Corriere della Sera di ieri a pagina 25
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Gli immobili sequestrat­i Sopra e a sinistra, due immobili di proprietà del defunto Achille Frisari sigillati; il loro valore si deteriora, e i creditori non hanno riavuto quanto spettava loro. Nella foto grande, Pietro Frisani (primo da destra)
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