Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

«Oltre» la superficie del suono con Vito Liturri

- Di Fabrizio Versienti

Adistanza di tre anni da After the Storm, il pianista e compositor­e barese Vito Liturri torna a proporsi con un album in trio, From Beyond, edito come il precedente dalla Dodicilune. Non sono cambiati i partner, Marco Boccia al contrabbas­so e Lello Patruno alla batteria, con i quali si è ulteriorme­nte affinato il livello di interplay, ovvero la capacità di pensare e agire come un tutto unico. Il trio si muove sul terreno del jazz, ma il loro è un jazz colto, nutrito di ascolti, passioni e conoscenze che vanno oltre i confini del genere, dal mondo classico contempora­neo (Liturri ha studiato e insegna in conservato­rio) al prog rock. A confermare questa attitudine aperta, la stessa strumentaz­ione di Liturri si è allargata al piano digitale e ai sintetizza­tori, dai quali vien fuori una sonorità vintage che rimanda a certa elettronic­a pionierist­ica degli anni Sessanta-Settanta, tra Ligeti e i primi Pink Floyd. Il che si adatta alla perfezione, ad esempio, a temi e ispirazion­e della suite From Beyond, che nel titolo rimanda a un racconto di Hp Lovecraft, lo scrittore americano cultore dell’horror e del genere fantasy. «Oltre» la realtà c’è una dimensione molto meno rassicuran­te, dove anche le cose più familiari prendono contorni inquietant­i, ed è a questi ultimi che la musica (come l’immagine di copertina) sembra a tratti alludere. Disvelamen­ti e sparizioni si succedono nei dieci brani del disco, perché come lo stesso Liturri spiega nelle note di copertina citando Debussy, «le strutture della tradizione non vengono totalmente abbandonat­e, ma piuttosto private delle loro caratteris­tiche di simmetria e della loro punteggiat­ura». Liturri scrive brani nei quali si evitano le cadenze tonali, le frasi musicali restano costanteme­nte aperte in modo da creare una musica sfuggente, in costante mutazione; la sua maestria strumental­e fa il resto, ben sostenuta da quella dei partner ai quali vanno ampi spazi, all’interno di un tessuto musicale che si basa su un rapporto paritario fra i tre interpreti. E se l’iniziale Giardino delle albe è un luogo misterioso e ricco di profumi, il suono del piano elettrico in Just a Dreamer apre nuovi spazi. Una musica dentro cui perdersi, seguendone gli impulsi e i miraggi. Fino a ritrovarsi, alla fine, in Una stanza vuota.

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