Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
«Oltre» la superficie del suono con Vito Liturri
Adistanza di tre anni da After the Storm, il pianista e compositore barese Vito Liturri torna a proporsi con un album in trio, From Beyond, edito come il precedente dalla Dodicilune. Non sono cambiati i partner, Marco Boccia al contrabbasso e Lello Patruno alla batteria, con i quali si è ulteriormente affinato il livello di interplay, ovvero la capacità di pensare e agire come un tutto unico. Il trio si muove sul terreno del jazz, ma il loro è un jazz colto, nutrito di ascolti, passioni e conoscenze che vanno oltre i confini del genere, dal mondo classico contemporaneo (Liturri ha studiato e insegna in conservatorio) al prog rock. A confermare questa attitudine aperta, la stessa strumentazione di Liturri si è allargata al piano digitale e ai sintetizzatori, dai quali vien fuori una sonorità vintage che rimanda a certa elettronica pionieristica degli anni Sessanta-Settanta, tra Ligeti e i primi Pink Floyd. Il che si adatta alla perfezione, ad esempio, a temi e ispirazione della suite From Beyond, che nel titolo rimanda a un racconto di Hp Lovecraft, lo scrittore americano cultore dell’horror e del genere fantasy. «Oltre» la realtà c’è una dimensione molto meno rassicurante, dove anche le cose più familiari prendono contorni inquietanti, ed è a questi ultimi che la musica (come l’immagine di copertina) sembra a tratti alludere. Disvelamenti e sparizioni si succedono nei dieci brani del disco, perché come lo stesso Liturri spiega nelle note di copertina citando Debussy, «le strutture della tradizione non vengono totalmente abbandonate, ma piuttosto private delle loro caratteristiche di simmetria e della loro punteggiatura». Liturri scrive brani nei quali si evitano le cadenze tonali, le frasi musicali restano costantemente aperte in modo da creare una musica sfuggente, in costante mutazione; la sua maestria strumentale fa il resto, ben sostenuta da quella dei partner ai quali vanno ampi spazi, all’interno di un tessuto musicale che si basa su un rapporto paritario fra i tre interpreti. E se l’iniziale Giardino delle albe è un luogo misterioso e ricco di profumi, il suono del piano elettrico in Just a Dreamer apre nuovi spazi. Una musica dentro cui perdersi, seguendone gli impulsi e i miraggi. Fino a ritrovarsi, alla fine, in Una stanza vuota.