Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
SE LA BUROCRAZIA FRENA GLI ATENEI
Il caso dell’Università di Foggia è l’ennesimo segno della sofferenza di tutti gli Atenei italiani e meridionali. Lasciamo i fatti agli organi inquirenti, e guardiamo oltre, nel fuoco del nostro sistema universitario. Nessuno invocherà alibi politico-sociali per gli atti non in regola con le leggi; ma colpisce che oggi il mondo accademico – comprese alcune cliniche – torni nella cronaca per la cattiva gestione di fondi e concorsi – comunque da dimostrare – e non per gli ingorghi amministrativi frutto della pessima “legge Gelmini”. Si aggiungano, inoltre, le scelte degli ultimi governi sull’università, pronti a sottrarre fondi a ogni occasione, come i recenti scioperi di tassisti e tramvieri. Sempre a corto di programmazione – il finanziamento ministeriale degli atenei avviene solo anno per anno – sempre senza riconoscimenti di valore, mentre all’estero dimostrano il contrario i nostri laureati, e sempre colpita da un blocco di regole farraginose e ostinatamente burocratiche, l’università italiana vive sostanzialmente delle tasse degli iscritti, nel Mezzogiorno ben più contenute che al nord, per il noto divario dei redditi. Né le regioni mostrano particolare attenzione per i loro atenei, a parte qualche convenzione e qualche parola, forte nei discorsi e comunque avara nei finanziamenti. È inutile ripetere la tesi che la ricerca giova allo sviluppo, se poi gli studi e l’alta formazione – soprattutto nel sud – non entrano stabilmente nelle politiche pubbliche e nei costumi di cittadinanza locali, o nei rapporti con l’estero. Si pensi allo spazio di iniziativa di pace e di sviluppo democratico, che le università meridionali potrebbero assicurare per il tormentato Mediterraneo medioorientale; altro che tentazioni di guerra! Nello scenario di tendenza all’oblio della scuola e dell’università, quest’ultima per lo più è vista come una macchina del quotidiano, un grande ufficio che sforna lauree. E invece, nelle famiglie e nei territori di tutto il sud, rimane molto viva l’immagine di promozione e di crescita etico-sociale che gli studi e la ricerca possono ancora realizzare. È un principio da valorizzare, nella produzione e nella vita delle città, abbandonando l’ossessione della competitività e dei modelli di mercato, che in economia forse funzionano, ma nel tempo più meditato della ricerca sono impropri, e spesso controproducenti. Su questa base, rimane tutto da realizzare l’urgente salto di qualità, purché si riconosca il merito dell’insegnamento, oggi mortificato, e si crei un rapporto organico fra governo regionale e singoli atenei, soprattutto nel Mezzogiorno.