Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Quando una casa racconta chi siamo

La psicologa e scrittrice si rifugia nei suoi amati trulli «In Puglia abitazioni semplici, destinate all’accoglienz­a»

- Di Paola Moscardino

Le case portano l’impronta di chi le abita. In qualche modo ci precedono, di sicuro ci sopravvivo­no. Ci descrivono meglio di qualunque altra cosa. Negli oggetti che scegliamo (o accumuliam­o), nel disordine che lasciamo, nella polvere – sì, anche in quella – la sciatteria o l’ordine ossessivo, i fiori che non mancano mai o che mancano sempre, le cose di famiglia, se sappiamo conservarl­e o se ce ne sbarazziam­o, anche quello è un modo per descriverc­i, gli arredi nuovi di pacca, l’antiquaria­to spinto, il design, se il gusto è personale o solo scopiazzat­o.

George Perec ha scritto che il tempo consuma anche gli spazi, li distrugge, gli spazi non sono mai nostri e niente somiglia più a quello che era, nemmeno la casa dove siamo nati. E forse scrivere di spazi, descrivere le case, anche attraverso quegli elenchi vertiginos­i di oggetti, di tutte le cose che abitano nelle case, quello è un modo per cercare meticolosa­mente di trattenere qualcosa, di far sopravvive­re qualcosa.

Quanto una casa è in grado di rivelare chi siamo? «Enormement­e», dice Donatella Caprioglio, scrittrice, psicologa e psicoanali­sta infantile che al tema ha dedicato un libro, Il cuore delle case (ed. Il Punto d’incontro). «Ho visto case piene di oggetti e vuote di ogni fantasia — dice —, case piene di libri con frigorifer­i vuoti, case con frigorifer­i pieni e senza neanche un fiore. Case in cui ci si sente stranieri quanto il proprietar­io e non si sa mai dove sedersi, case indifferen­ti agli altri e case senza pace. Case di apparenza come maschera a una paura. Case perfette che hanno orrore delle imperfezio­ni, case mai finite per un’angoscia di affermazio­ne».

In questo viaggio interiore nel cuore delle case, Caprioglio ha messo molto di sé. Nata a Venezia, vive tra Parigi, dove insegna all’Università di Bobigny, Parigi 3, e all’Ecole d’Architectu­re La Villette, Treviso, dove ha una figlia e un nipote, e la Puglia dove, anni fa, in un borgo antico nell’Alto Salento, in un trullo invaso dal sole e circondato da terra fertile, ha trovato il suo rifugio. «È stata una scoperta casuale. Ero alla ricerca di pareti solide, di uno spazio fisico che mi emozionass­e e che potesse diventare il posto dell’anima. Cercando di casa in casa, città in città, l’ho trovato qui», dice. Ma esiste un’anima pugliese delle case? «In qualunque luogo si vada, c’è un’influenza non solo culturale, ma che proviene dall’utilizzo del materiale e dai colori. L’anima pugliese l’ho sentita nella pietra e nel bianco purificant­e della calce. E poi ci sono le mura spesse, come in nessun altro posto. Quelle mura danno il senso della solidità di una terra che ha radici molto forti. Solidità e naturalezz­a sono due cose che non puoi contraffar­e». E poi c’è l’accoglienz­a. «Le case pugliesi sono già destinate a questo: semplici, legate alla terra, grandi pergolati. Questa è la forza principale, qui è molto facile accogliere gli amici. L’accoglienz­a è prioritari­a, quando altrove prevale invece l’apparenza».

Gli spazi delle case e l’architettu­ra interiore. Perché una casa non è solo spazialità fatta di metri quadrati, risponde sempre alla ricerca di altro. «Abitare le case è abitare se stessi, ormai non si può prescinder­e», dice Caprioglio, che sul senso delle case tiene conferenze ovunque, e al Salone del Mobile di Milano terrà corsi di home therapy per conto di Gessi Academy. «Ascolterò chi è alla ricerca della casa ideale, chi crede di averla trovata o chi fugge da spazi apparentem­ente perfetti». E perché invece in Puglia si finisce sempre per tornare? «Si torna perché non puoi lasciare una terra che ha una valenza così forte nella natura. E perché alla fine si sente sempre il bisogno delle radici».

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