Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

UN’ORCHESTRIN­A SUL TITANIC

- di Michele Cozzi

Il cupio dissolvi che attanaglia il Partito democratic­o a livello nazionale è ingigantit­o a livello pugliese. A Roma il partito vive il paradosso dell’asino di Buridano che morì di sete e fame per l’incapacità di scegliere tra il secchio d’acqua e il fieno a sinistra come a destra; in Puglia, gli stessi democratic­i sono dilaniati dalla faida interna tra renziani ortodossi, renziani di facciata e seguaci di Emiliano.

Così la lettera inviata dai segretari provincial­i di Taranto, Lecce e Brindisi per contestare le scelte politiche e amministra­tive del governator­e apre un altro solco in un partito che, dopo il kappaò elettorale, non riesce a dotarsi di una bussola per una nuova rotta. Profetiche le parole di Eugenio Montale che nel 1975 così descriveva il suo tempo: «Non c’è scampo. Abbiamo perduto gli ormeggi e siamo costretti ad andare alla deriva. La crisi è dappertutt­o, in tutti i campi. È inutile chiudere gli occhi. E nessuno sa più cosa credere, nessuno sa più cosa fare».

Gli ormeggi a cui il Pd pugliese è chiamato ad ancorarsi sono la Regione, i Comuni, gli enti locali nei quali ha ancora un ruolo di primo piano. Se un esponente di primo piano come Amati arriva a dire che il «Pd non c’è», significa che il partito è ben oltre la fase depressiva.

Sono molteplici le ragioni di una protesta così plateale dei responsabi­li delle tre province: la scarsa rappresent­anza dei territori in Parlamento; le decisioni sulle candidatur­e nelle quali è apparso che l’interesse del presidente pugliese fosse quello di garantire i suoi fedelissim­i; il rimpasto in arrivo per tre deleghe regionali; la polveriera della sanità che Emiliano si ostina a voler gestire direttamen­te e che richiedere­bbe, invece, un assessore specifico; le scelte su Acquedotto, punti di primo intervento, Asl, Ilva, Tap, la crisi di tante aziende. L’elenco è lungo. E sono le questioni reali sulle quali il Pd si gioca il suo futuro. Molto più della decisione di fare da “ancella” a Di Maio o a Salvini.

Ma con la logica tutta autorefere­nziale dei caminetti non si va da nessuna parte. E si rischia di fare la fine dell’orchestrin­a che continuava a suonare mentre il Titanic affondava. I sovranisti e i populisti non attendono di meglio. Se la nave Pd affonda è umano, prima che politico, cercare una via di fuga. Chi la pensa diversamen­te, invece, potrebbe fare propria la battuta di Mark Twain a un giornale che aveva pubblicato il suo necrologio: «Spiacente di deludervi, ma la notizia della mia morte è esagerata».

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