Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Una visita che ci ricorda l’importanza di un sogno
C’è una dimensione del sognare che è legata alla capacità di generare prospettive, di leggere i bisogni con l’ attitudine a vedere possibilità altre.
Se ci mancasse il sogno, mancheremmo di inventiva e creatività. Se fossimo al contrario solo sognatori, mancheremmo di principio di realtà. Immaginazione, aspirazione e speranza. Chi sa di Appaduray non fatica a capire. Immaginare qualcosa di possibile leggendo i bisogni fotografati dalla realtà. Aspirare, avere cioè il desiderio di dare realizzazione a quanto pensiamo possibile come superamento del bisogno. Sperare come molla per sostenere le aspirazioni. Da muratori, predicava don Tonino Bello.
Facciamo un esempio. Puglia arca di pace e non arco di guerra. Della Puglia, il vescovo di Molfetta, predestinò questo negli anni Ottanta. Più che una profezia, un’aspirazione che rimetteva in gioco una strategia necessaria, nello scacchiere internazionale, di militarizzazione della nostra regione. Immaginare un destino altro che diventava una destinazione di risorse, azioni collettive, movimenti, prassi che al bisogno e alla sola risposta data come possibile dalla storia, contrapponevano un’altra risposta più radicale, non scontata. Una risposta più politica che religiosa. Dalla militarizzazione della frontiera come svolta anche economica, alla consapevolezza, che Alessandro Leogrande dirà bene poi, che «la frontiera corre sempre nel mezzo. Di qua c’è il mondo di prima. Di là c’è quello che deve ancora venire». Stare in questa frontiera aspirando ad essere arca, fu la risposta inedita al bisogno di un ruolo richiesto dagli scenari geopolitici. Un’aspirazione per usare Appaduray.
Aspirazione non da sermone ma da pastore chiamato a «vegliare nella notte, facendo la guardia al gregge». Lui, il vescovo di Molfetta insieme agli altri vescovi di Puglia, si fecero interpreti del «popolo che ha espresso, più volte, in termini civili e democratici, il netto proposito di non lasciarsi spossessare dal diritto di decidere sul suo presente». In presenza di una politica subalterna a un’idea di sviluppo importato e non autogenerato, la Chiesa raccoglieva le istanze della base e le trasferiva al cospetto della politica. «Abbiamo fatto un sogno ma non abbiamo nessuno che lo interpreti»: e lui lo interpretò.
Il rischio che corre uno come don Tonino è, con il passare degli anni, di finire ad essere un interprete di sogni per citazioni pret à porter. Lui stesso ci aveva però messo in guardia: «Gli interpreti di sogni ci sono ancora oggi ma sono ridotti a funzionari di grillo parlante». Sarà un po’ fuori dal coro, ma penso che Francesco il 20 aprile ritorni in Puglia per ricordarci la responsabilità di un sogno da generare e non solo a santificare un sognatore di cui farci grilli parlanti, facendosi anche lui grillo parlante. Gli interpreti dei sogni vengono dopo: è la lezione politica di don Tonino. Più che interpreti dei sogni, deficitiamo di maestri di sogni. Molti sognatori, in fondo, sono solo grilli parlanti. Ma questo lo sapeva don Tonino. E anche Francesco. Stranamente molto simili.