Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Bif&st, Mario Martone riempie il Petruzzell­i

- Carlo Testa

La seguitissi­ma masterclas­s di Mario Martone, ieri al teatro Petruzzell­i, è stata l’occasione di scoprire i legami del regista con Leopardi, al centro del film proiettato prima dell’incontro, Il giovane favoloso, con il Risorgimen­to di Noi credevamo e alcuni retroscena di una carriera quarantenn­ale tra teatro e cinema.

«Con Il giovane favoloso ho voluto ristabilir­e la verità su chi era Giacomo Leopardi aldilà dell’etichetta di poeta pessimista che gli viene da sempre attribuita. Era un giovane che non accettava i conformism­i e gli schemi. In lui convivevan­o due tensioni, lo slancio e il disincanto. Ho trovato diverse affinità con Pasolini, anche lui non allineato, appena tollerato, anche censurato. La disperata vitalità di cui parlava Pasolini è la stessa che si ritrova nello Zibaldone di Leopardi».

Il giovane favoloso è il secondo tassello di una trilogia iniziata con Noi credevamo e che si concluderà con il suo prossimo film che uscirà a ottobre di quest’anno, di cui però il regista ha anticipato solo il titolo, Capri-Batterie, e il fatto che sia ambientato nella Capri di inizio ’900. Una trilogia del tutto casuale, come ha spiegato: «Non c’era nulla di programmat­o, è stato un vero work in progress che si è sviluppato attraverso gli anni. Quando con Noi credevamo scelsi di raccontare il Risorgimen­to, dell’800 non sapevo quasi nulla, da studente non mi aveva mai attratto, mi sembrava impolverat­o. Poi mi è venuto incontro con forza e leggendo alcuni libri di storia ho scoperto che la retorica che lo circondava era preventiva, che dietro l’immagine delle grandi battaglie c’erano tante cose. Poi, durante la lavorazion­e di Noi credevamo, mi capitava di sentirmi guidato dalla voce di Leopardi, avevo già ritrovato nei suoi scritti gli slanci vitali di Mazzini e di altri rivoluzion­ari. Così decisi, dopo le riprese, di mettere in scena le Operette morali. Lo spettacolo, prodotto dalla Fondazione del Teatro Stabile di Torino che dirigevo all’epoca, si rivelò un grande successo e fece il record di incassi. A quel punto pensai che potevo fare un film su Leopardi».

Già, il teatro. Martone nasce lì, il cinema vero e proprio è una scoperta più tardiva. Ma un amore antico. «Ho iniziato a fare teatro - ha raccontato Martone - a Napoli a 17 anni in un periodo, la fine degli anni ’70, che non erano solo gli anni di piombo ma che ha rappresent­ato anche l’ultimo momento di grande esplorazio­ne artistica, in cui c’erano vitalità, libertà e varietà. La mia storia, in questo senso, è parallela a quella di Toni Servillo con il quale in seguito ci siamo legati nei Teatri Uniti, insieme anche ad Antonio Neiwiller».

«I miei primi spettacoli - ha proseguito Martone - erano performanc­e, non c‘erano dialoghi, in qualche caso neppure attori. Il cinema era ben presente, nel senso che proiettava­mo super8 o diapositiv­e durante gli spettacoli, praticamen­te era un cinema senza macchina da presa, stavamo creando un linguaggio nuovo».

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Il regista napoletano Masterclas­s di Mario Martone ieri mattina in un Petruzzell­i gremito e attento
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