Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Bif&st, Mario Martone riempie il Petruzzelli
La seguitissima masterclass di Mario Martone, ieri al teatro Petruzzelli, è stata l’occasione di scoprire i legami del regista con Leopardi, al centro del film proiettato prima dell’incontro, Il giovane favoloso, con il Risorgimento di Noi credevamo e alcuni retroscena di una carriera quarantennale tra teatro e cinema.
«Con Il giovane favoloso ho voluto ristabilire la verità su chi era Giacomo Leopardi aldilà dell’etichetta di poeta pessimista che gli viene da sempre attribuita. Era un giovane che non accettava i conformismi e gli schemi. In lui convivevano due tensioni, lo slancio e il disincanto. Ho trovato diverse affinità con Pasolini, anche lui non allineato, appena tollerato, anche censurato. La disperata vitalità di cui parlava Pasolini è la stessa che si ritrova nello Zibaldone di Leopardi».
Il giovane favoloso è il secondo tassello di una trilogia iniziata con Noi credevamo e che si concluderà con il suo prossimo film che uscirà a ottobre di quest’anno, di cui però il regista ha anticipato solo il titolo, Capri-Batterie, e il fatto che sia ambientato nella Capri di inizio ’900. Una trilogia del tutto casuale, come ha spiegato: «Non c’era nulla di programmato, è stato un vero work in progress che si è sviluppato attraverso gli anni. Quando con Noi credevamo scelsi di raccontare il Risorgimento, dell’800 non sapevo quasi nulla, da studente non mi aveva mai attratto, mi sembrava impolverato. Poi mi è venuto incontro con forza e leggendo alcuni libri di storia ho scoperto che la retorica che lo circondava era preventiva, che dietro l’immagine delle grandi battaglie c’erano tante cose. Poi, durante la lavorazione di Noi credevamo, mi capitava di sentirmi guidato dalla voce di Leopardi, avevo già ritrovato nei suoi scritti gli slanci vitali di Mazzini e di altri rivoluzionari. Così decisi, dopo le riprese, di mettere in scena le Operette morali. Lo spettacolo, prodotto dalla Fondazione del Teatro Stabile di Torino che dirigevo all’epoca, si rivelò un grande successo e fece il record di incassi. A quel punto pensai che potevo fare un film su Leopardi».
Già, il teatro. Martone nasce lì, il cinema vero e proprio è una scoperta più tardiva. Ma un amore antico. «Ho iniziato a fare teatro - ha raccontato Martone - a Napoli a 17 anni in un periodo, la fine degli anni ’70, che non erano solo gli anni di piombo ma che ha rappresentato anche l’ultimo momento di grande esplorazione artistica, in cui c’erano vitalità, libertà e varietà. La mia storia, in questo senso, è parallela a quella di Toni Servillo con il quale in seguito ci siamo legati nei Teatri Uniti, insieme anche ad Antonio Neiwiller».
«I miei primi spettacoli - ha proseguito Martone - erano performance, non c‘erano dialoghi, in qualche caso neppure attori. Il cinema era ben presente, nel senso che proiettavamo super8 o diapositive durante gli spettacoli, praticamente era un cinema senza macchina da presa, stavamo creando un linguaggio nuovo».