Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Signorile racconta il mito della «purezza murattiana»
Nicola Signorile affianca da anni alla sua attività di giornalista alla Gazzetta del Mezzogiorno quella di critico di architettura, che si esplica non solo attraverso una rubrica settimanale sul suo giornale ma con un’attenzione costante al dibattito sulla città che cambia, in veste anche di curatore di mostre e altro. Nel suo ultimo libro Goodbye Murat (Edizioni di Pagina, Bari 2018, pp. 140, euro 12), affronta di petto una questione cruciale per Bari e il suo futuro: la qualità dell’architettura, che è tutt’uno con la capacità di affrontare la contemporaneità senza vivere nel rimpianto di un passato molto mitizzato (ah, il Murattiano di una volta).
Questione tutt’altro che marginale, se si pensa che tutti gli ultimi concorsi d’idee importanti svoltisi a Bari, relativi al disegno della città e delle sue emergenze architettoniche, sono stati dominati da una forte diffidenza per il nuovo, come nella vicenda del «cannocchiale rosso» da costruire sul museo di Santa Scolastica, bocciato dalla soprintendenza; o da prudenze e cautele esagerate, che hanno portato l’amministrazione comunale a realizzare il progetto della nuova via Sparano tra mille dubbi e ripensamenti, facendo attenzione a non irritare nessuno e finendo paradossalmente per scontentare tutti. D’altro canto, un’amministrazione che mette mano a 400 cantieri per «rifare» la città, come sta facendo Decaro con i suoi, dovrebbe avere un progetto di città da realizzare. Tutto sta a capire quale.
Ma Signorile nel suo libro non si occupa di queste questioni di attualità. O meglio, prende la rincorsa per analizzare il complesso rapporto di Bari con la categoria del «moderno» dall’Ottocento a oggi, attraversando la famigerata stagione del boom edilizio del dopoguerra, destinato a cambiare il volto del centro cittadino, per arrivare fino ai giorni nostri. Un percorso condotto esaminando una decina di casi esemplari, altrettante architetture importanti per valenze storiche ed estetiche. Al principio, ci sono i famosi statuti murattiani, adottati nel 1814, e poi fatti rispettare per qualche tempo dal loro autore Giuseppe Gimma, prima sotto i francesi di Murat, e poi sotto i Borbone tornati sul trono delle due Sicilie; una sorta di piano regolatore (la famosa scacchiera) che prevedeva minuziose norme da rispettare in quanto ad altezza, allineamento