Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

IL PRIMO MAGGIO DELLE ANIME PERSE

Essere operai (e non) a Taranto

- Di Sergio Talamo

Da sempre Taranto vive i palazzi della politica come luoghi ostili, che determinan­o un destino ineluttabi­le. La diffidenza dei cittadini ionici verso Bari, Roma e oggi anche Bruxelles non ha origini solo campanilis­tiche. C’è davvero la robusta sensazione che la sede delle decisioni vere sia irrimediab­ilmente altrove. E’ una sindrome da città espropriat­a che ha origini anche più antiche, deriva dalla condizione di base e arsenale militare, che ad una missione imposta dall’alto regala non solo parti del suo territorio ma anche il cuore del suo lavoro, che prima era dedicato al mare e alla campagna e che nel tempo è diventato sempre più funzionale alle “guerre degli altri”, della nazione o dell’alleanza occidental­e. E quando lo sviluppo industrial­e bussò alle porte di Taranto, all’alba degli anni ’60, piombò in città un nuovo potere “straniero”: prima quello di Genova sull’Italsider, poi quello dei Riva sull’Ilva. Questo è il passato. Ma pesa sull’oggi e sul domani. La storia industrial­e di Taranto continua ad essere la storia di estenuanti rinvii. Dopo gli anni delle mancate verifiche ambientali, delle mancate risposte ad allarmi che arrivavano da fonti come l’Organizzaz­ione Mondiale della Sanità, dopo un’inchiesta che esplose nel lontano 2012, siamo ancora ai tavoli che si riaggiorna­no, con il consueto aleggiare di minacce che viaggiano via terra, mentre spesse nubi di veleno continuano a stazionare nell’aria. Al momento, gli schieramen­ti sono i seguenti. Il ministro uscente, il democratic­o Calenda, difende a spada tratta i livelli di produzione e il nuovo assetto che sarebbero garantiti dai nuovi acquirenti. Su questa linea, il ministro ha incontrato il sostegno del sindaco Melucci, che da anti-governativ­o qual era oggi vorrebbe che Calenda andasse avanti anche se il governo non c’è più. Melucci rivendica che anche il possibile premier Luigi Di Maio sarebbe ormai su posizioni meno drastiche, che restano invece quelle del governator­e Emiliano e del pezzo cospicuo della città che il primo maggio si prepara a far pronunciar­e al contro-concertone un immenso «no» al fumo nero che appesta Taranto. Distanti dagli uni e dagli altri ci sono i sindacati, che vogliono garanzie sugli esuberi e sull’indotto. E in mezzo, che più in mezzo non si può, vagano come anime perse i cittadini e gli operai. Non chiedono slogan né crociate, vorrebbero solo non sentire più che a Bruxelles, Roma o Bari si è deciso che per Taranto, e solo per Taranto, lavoro può voler dire morte.

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