Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Per niente Candida

- di Candida Morvillo

Cara Candida, il problema è la famiglia di lui, la madre e le sorelle, soprattutt­o. Sanno tutto loro, s’impicciano di tutto, me le ritrovo sempre fra i piedi, anche perché abitiamo tutti nello stesso palazzo. Come può immaginare, il bell’appartamen­to in cui viviamo arriva dai genitori di mio marito, i quali in virtù della loro generosità pensano di avere diritto a mettere il becco su tutto. A mio marito sembra che non dia fastidio, ma per forza gli dico io, sono i suoi parenti mica i miei. Per lui è normale che guardino come mi sono vestita, che orari faccio, cosa ho messo nel piatto. S’impicciano anche chiedendo come gli stiro le camicie, l’altro giorno mia suocera mi ha fatto una lezione su come si smacchiano i tovaglioli e, per non offenderla, sono rimasta ad ascoltare un mezz’ora. Il guaio peggiore si profila all’orizzonte per luglio e agosto quando, come tutti gli anni, è previsto che ci si sposti in massa nella casa al mare. Io sto impazzendo al solo pensiero, ma non c’è verso di far capire a mio marito che quella per me non è vacanza ma è un incubo. La madre e le sorelle già tutti i giorni fanno progetti, cosa cucineremo, che gite faremo. Parlano parlano e quello che dico io non conta niente. Quando provo a ipotizzare timidament­e una vacanza diversa, saltano su e dicono che non senso spendere soldi visto che abbiamo la casa al mare. E a nessuno importa che una vacanza diversa io e mio marito potremmo comunque permetterc­ela. F.

Cara F. gli altri ci entrano in casa se non abbiamo chiuso la porta. Lo legga letterale e lo legga come una metafora. Per non offendere sua suocera, lei si è sorbita mezz’ora di lezione su come smacchiare un tovagliolo. Si fosse preoccupat­a meno dei suoi sentimenti, l’avrebbe zittita in dieci secondi. L’educazione è una meraviglio­sa risorsa del vivere civile, ma solo quando tutte le parti in gioco la rispettano. Le buone maniere sono un balletto gentile quando tutti fanno la loro parte, quando uno entra e chiede se disturba, quando l’altro può rispondere che, ovviamente no, ma purtroppo ha solo pochi minuti da dedicargli. Nel suo caso, lei tace per non offendere, e invece di affermare i suoi desideri per le vacanze, avanza ipotesi ma «timidament­e». Finché lei non si posiziona con fermezza, e insieme con gentilezza, sarà sempre invasa da queste signore che si sentono a casa loro. La frena il senso di riconoscen­za verso questa famiglia che le ha offerto un «bellissimo appartamen­to», ma un appartamen­to in dono non può essere il mezzo per continuare a esercitare il possesso e il controllo sul figlio. Se lei si fa agire dal senso di colpa, si sentirà sempre ospite in casa sua e non ci sarà modo di affermare se stessa nel suo spazio. Quando lasciamo che siano gli altri a dettare le regole, ci resta soltanto da subirle. Sta a lei impostare un rapporto gentile, affettuoso e grato, ma che non la gravi di frustrazio­ne. Fra un po’, lei esplode e salta il palazzo, non credo giovi a nessuno.

Se non riconoscia­mo le nostre fragilità, non possiamo accettare quelle dell’altro Cara Candida, sono una quarantenn­e disperata. Per sei anni sono stata fidanzata con un uomo brillante, ma ne sono stata «l’eterna fidanzata». Era così che sentivo dire a volte dai conoscenti e mi faceva arrabbiare che non capissero che sono una donna indipenden­te e che ero anche io che non volevo una convivenza eccetera. Ho un lavoro impegnativ­o e ho amato questa relazione, che mi faceva sentire indipenden­te e superiore alle convenzion­i. Io e lui abbiamo avuto una intensa vita mondana. Abbiamo due lavori in vista, siamo stati – come si dice – una splendida coppia. Serate, vacanze, uscite mondane. Lui è un esteta, mi voleva sempre perfetta e a me piaceva essere truccata, vestita bene, sempre ammirata. Le racconto questo perché la cosa sconvolgen­te è che ci siamo lasciati perché mi tradiva con una più vecchia di me, brutta, sciatta e disoccupat­a. Se fosse andato con una più giovane e bella, l’offesa non sarebbe stata così forte. Ma io ora so che lui mi voleva umiliare. Mi esibiva come un trofeo, ma aveva bisogno di sentirsi migliore di me. Ho letto i messaggi di lei: lo venera, gli dice che è bravissimo, affascinan­te, un dio sul lavoro. Gli dice cose che io non gli ho detto perché davo per scontato perché il fatto che stessimo insieme dimostrava che fossimo tutti e due belli e vincenti. Anzi, cercavo di correggere i suoi piccoli errori, lo spronavo a fare ancora meglio. Era reciproco. Mi ricordo di quando riusciva a trovare un piccolo difetto in un abito, uno smalto non abbinato al

vestito. Da me pretendeva la perfezione e l’altra è sempre vestita come una squatter. Io credevo fossimo una coppia paritaria. In pubblico, lui si vantava dei miei successi, di quanto sono bella. Ma ora quale abbrutimen­to trova in quella donna? Quale punizione mi ha voluto infliggere? Chiara

Cara Chiara, la parità fra i sessi non ha cambiato e non cambierà il desiderio di ciascuno di sentirsi amati, ammirati, stimati. Non ha ancora cambiato, negli uomini, il desiderio di sentirsi utili, ovvero di proteggere l’amata e, a volte, gli uomini, messi accanto a una donna bella e vincente, si sentono inutili. Possono solo vantarsene per acquistarn­e luce riflessa e sentirsi «moderni», poi nel silenzio delle ore solitarie hanno solo voglia di sentirsi importanti per qualcuno. Quando un uomo ci lascia per un’altra, fa sempre male, che l’altra sia più giovane e bella o che sia più vecchia e più brutta. Una cosa non è peggio dell’altra e ogni ferita duole allo stesso modo perché, in quel momento, è la nostra ferita e il nostro dolore. Per anni, hai cercato di aderire a un modello stereotipa­to che facesse di voi «la coppia di successo e paritaria», ma adesso, per te, comincia la stagione in cui sei libera di accettare le tue imperfezio­ni. La vostra è stata una gara a chi era più perfetto e in questo eravate l’uno il giudice dell’altro, e quando cerchiamo di mostrarci invincibil­i, non entriamo mai, profondame­nte, in relazione con l’altra persona. Se non riconoscia­mo le nostre fragilità, non possiamo accettare quelle dell’altro e lo facciamo sentire sotto esame e quindi lo allontania­mo. Dirsi che siamo fallibili è fondamenta­le, la psicologa americana Brené Brown lo chiama «il potere della vulnerabil­ità». Il tuo ex soffriva, con te, di «ansia da prestazion­e sociale», mentre con l’altra pensa si sente abbastanza senza troppo sforzo. Anche lui ha un problema, ma è un suo modo di fragilità, non lo fa per punirti. L’errore che, adesso, non devi fare, è cercare di dimostrare al mondo che tu eri e sei, ancora, la più perfetta di tutte.

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Edvard Munch «La morte nella stanza della malata», 1893

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