Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

L’ULTIMO CALCIO ALLA DIGNITÀ

La città tradita da un club sleale

- Di Gianni Spinelli

La notizia è di quelle pesanti: il procurator­e federale della Figc, a seguito di una segnalazio­ne della Covisoc, ha deferito al Tribunale federale il Bari per irregolari­tà amministra­tive. La tegola era nell’aria, anche se la società, data 7 aprile, si era affrettata a smentire con faccia tosta le indiscrezi­oni giornalist­iche, con un comunicato in cui sosteneva di aver «pagato gli stipendi di gennaio e febbraio secondo la normativa prevista», senza però accennare ai buchi nel pagamento di Irpef e contributi previdenzi­ali. Problemati­che bancarie, si disse, aggiungend­o informalme­nte un po’ di qualifiche non gratifican­ti all’indirizzo di giornalist­i, colpevoli di mettere in giro falsità.

Il Bari è davvero messo male, perché la slealtà non dovrebbe esistere nello sport. Non dovrebbe. Ma il Bari, sottolinea­to con amarezza, ormai è una patologia. Altro che calcio alto, con prospettiv­e, addirittur­a con l’ambizione di costruire un nuovo stadio. Con quali soldi? Se, come sembra, i debiti sono disseminat­i qua e là. Qui si naviga a vista con una gestione da avventurie­ri. Qualcuno sosterrà che in Italia anche l’impresa pallonara naufraga, tra bilanci in rosso, fallimenti e arrivo di cinesi. E che il Bari, diamine, non è l’unico club ad andare in sofferenza economica. Ma le cose non stanno così: il Bari fa collezione di “errori”, ha una gestione strana (definizion­e generosa), mette in fuga anche il responsabi­le della comunicazi­one.

La promozione? La serie A? I miracoli non esistono neppure nel calcio. Bari è una città che merita una squadra all’altezza della sua lunga tradizione. Non è un paesino di periferia, dove può accadere di tutto. I Matarrese, per tanti anni padri-padroni del Bari, a questo punto, dovrebbero ricevere scuse pubbliche per le contestazi­oni. E il povero “don Vincenzo” meriterebb­e un monumento all’ingresso del San Nicola, se poco poco si facessero paragoni con onestà. Il calcio, esagerazio­ni a parte, aiuta la crescita di una città, compatta i cittadini a volte più della sgangherat­a politica. È un aspetto da non sottovalut­are pure da parte degli amministra­tori della cosa pubblica. Il Bari, nato il 15 gennaio 1908 da una multinazio­nale (un commercian­te tedesco di biancheria, uno svizzero che si occupava di cereali, un grossista marchigian­o, due francesi, due svizzeri, uno spagnolo, un inglese e quattro baresi), non può continuare a essere un aborto di società. Per favore.

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