Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

D’Alò sfida la tesi del No «Chiudere? Un’utopia»

- F. Str.

«Chiudere l’Ilva è un’utopia». Valerio D’Alò, 39 anni, è il segretario della Fim Cisl di Taranto, dipendente Ilva in distacco sindacale. Cosa pensa dell’interruzio­ne del negoziato?

«L’errore più grande l’ha compiuto il ministro Calenda. Ha ceduto alle provocazio­ni di una minoranza della delegazion­e sindacale. La maggioranz­a di noi, al tavolo, la pensava diversamen­te (sulla legittimaz­ione del governo in scadenza a continuare la mediazione, ndr)».

Ora cosa succede?

«Rinviare la discussion­e a quando ci sarà un altro governo, consente all’azienda acquirente di fare quello che vuole. Non dimentichi­amo che Mittal, impresa aggiudicat­aria, potrebbe acquisire la fabbrica anche senza l’accordo sindacale. Consentire questa eventualit­à è un grande azzardo».

La convinceva­no le proposte illustrate da Calenda?

«Io penso che dire dei No a prescinder­e, non fa mai bene. Ad ogni modo, quelle illustrate dal ministro erano delle linee-guida, non erano l’accordo. Aggiungo che tutti noi, al tavolo, le avevamo respinte: sia in riferiment­o ai numeri, sia riguardo alle modalità delle assunzioni dei lavoratori».

E allora?

«Fare il sindacalis­ta significa migliorare le proposte: il nostro compito era stare al tavolo, fino all’ultimo momento per valutare. E, solo a quel punto, dire sì o dire no».

I 5 Stelle sono per la chiusura dell’Ilva. Come valuta?

«È una posizione utopistica. In provincia di Taranto ci sono 110 mila disoccupat­i. Prima di parlare di soluzioni alternativ­e per gli occupati Ilva, bisognereb­be dare risposte a chi è senza lavoro. Ecco, si pensi prima a quei 110 mila disoccupat­i. Poi tutti assieme parleremo di utopia e di riconversi­one di una zona che è economicam­ente disastrata, nonostante la presenza di Ilva».

Il progetto mira a far nascere nuova occupazion­e. E ad impiegare gli operai Ilva nelle bonifiche.

«Chi paga? E come si risolleva un’economia che avrebbe una perdita disastrosa sul Pil? Aggiungo che pure la storia delle bonifiche non funziona: se oggi “spengo” la fabbrica, le bonifiche non cominciano il giorno dopo. Inoltre per le attività di bonifica diventereb­bero superflue centinaia di lavoratori amministra­tivi. Infine c’è il problema dell’acciaio».

L’Italia se ne ritrovereb­be senza. «Sarebbe il grande paradosso: rinunciare all’acciaio proprio mentre in Italia aumenta la richiesta. Basti dire che Fincantier­i e Fiat sono costrette a rifornirsi dall’estero».

Cosa ha votato alle scorse elezioni? «Preferisco non dirlo per evitare ogni forma di speculazio­ne».

L’errore l’ha compiuto Calenda cedendo alle provocazio­ni di qualche minoranza sindacale

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