Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
LA TESI RETRÒ DELLA DECRESCITA
Mentre nel mondo si parla di produrre più acciaio, a cominciare dagli Stati Uniti di Trump, da noi si vuole chiudere l’Ilva, il più grande impianto siderurgico europeo. Il grido d’allarme lanciato ieri dal presidente nazionale di Confindustria, Enzo Boccia, all’assemblea annuale pone con forza il tema della questione industriale, in Italia e, in particolare, nel Sud e in Puglia. Se proviamo a leggere in filigrana contemporaneamente il Patto della Fabbrica siglato dagli imprenditori con i sindacati e il Contratto di Governo firmato da Lega e Cinque Stelle, si vede che al fondo ci sono due filosofie opposte. La prima, quella proposta da Luigi di Maio e spiegata giorni fa a Taranto dal suo consulente economico Lorenzo Fioramonti, in base alla quale bisogna lavorare in direzione di una chiusura programmata e della riconversione economica dell’azienda in tempi mediamente brevi. La seconda, che punta a tenere in vita la fabbrica e a difendere il lavoro, certo nel rispetto della salute e dell’ambiente, ma senza creare continui e perniciosi stop and go che finiscono per far fuggire a gambe levate qualunque investitore, italiano o straniero. Se l’industria deve continuare a essere la leva centrale dello sviluppo economico meridionale, perché sposare la tesi affascinante ma retrò della decrescita felice vuol dire condannarsi a perdere altre migliaia di posti di lavoro in un Sud che non ha recuperato l’occupazione di prima della crisi, allora la scelta non può che essere la seconda.
Ha ragione il leader di Confindustria quando dice che Mezzogiorno e infrastrutture sono due cose che vanno insieme, perché queste ultime portano lavoro, commercio e sviluppo. Rimettere in discussione grandi opere come la Tap - che proprio non piace al M5S - rischia di essere un altro grave errore strategico. E’ giusto che il movimento grillino si faccia carico delle richieste dei tanti comitati no Tav e no Tap che l’hanno appoggiato, ma ora che è al governo deve innanzitutto porsi in un’ottica più generale di tutela degli interessi del Paese e delle aree meridionali. Altrimenti rischia di essere solo il corifeo del reddito di cittadinanza, proposta giusta e valida, ma che non può rappresentare da sola la strategia meridionalistica del partito di Di Maio. Salvo a non voler apparire anche nei confronti dell’alleato leghista come il difensore dell’assistenzialismo fine a se stesso.