Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Pericolo di crollo, nuova inchiesta sul Palagiustizia
Il palagiustizia di via Nazariantz è al centro di una nuova inchiesta della Procura. Per il momento non ci sono indagati. Il sindaco Antonio Decaro ha sospeso l’agibilità chiedendo alla prefettura una riunione anche con rappresentanti del ministero.
Il sindaco Antonio Decaro sospende l’agibilità, il presidente Domenico De Facendis rinvia tutte le udienze previste per i prossimi tre giorni ad eccezione di direttissime e riesami, ma in Procura si continua a lavorare. E si indaga anche sul palazzo di giustizia di via Nazariantz: una nuova inchiesta è stata infatti aperta sulle criticità strutturali dell’edificio dove da tempo hanno trovato posto uffici penali e polizia giudiziaria. Il fascicolo è diretto dal procuratore aggiunto Roberto Rossi e dal sostituto procuratore Fabio Buquicchio. Le ipotesi di reato sono violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro e pericolo di crollo. Per il momento non ci sono indagati, ma nuovi importanti elementi potrebbero arrivare dalla consulenza tecnica che la Procura ha affidato al professor Bernardino Chiaia, ingegnere barese e docente ordinario di Scienze delle costruzioni al Politecnico di Torino. La perizia, come anticipato dal Corriere, potrebbe essere depositata nel giro di una decina di giorni.
Nel frattempo, dopo che dalla consulenza elaborata dallo studio Vitone di Bari per conto dell’Inail (proprietario dell’immobile) sono emersi gravi problemi strutturali, la macchina della giustizia rischia di incepparsi a causa della mancanza di una sede adeguata. Per scongiurare questa eventualità il sindaco Decaro si è mosso in una triplice direzione: ha chiesto all’Inail di comunicare entro cinque giorni quali interventi intenda adottare in via cautelativa; inoltre ha sospeso l’agibilità avviando le procedure per la revoca del certificato e infine ha chiesto alla prefettura di convocare tutte le amministrazione coinvolte per definire un cronoprogramma delle attività necessarie per procedere al trasloco salvaguardando l’attività giudiziaria.
Insomma, per il momento niente sgombero ma la strada è ormai tracciata: gli uffici saranno trasferiti. Ma ci vorrà tempo, almeno tre o quattro mesi. E, soprattutto, è necessario che sul caso intervenga direttamente il ministero della Giustizia. Che ieri, dopo un lungo silenzio, ha finalmente battuto un colpo annunciando in una nota che sono in corso valutazioni per un’eventuale locazione di un altro edificio e precisando che nelle precedenti perizie non erano mai emerse criticità «di tale misura e consistenza». Il ministero inoltre fa sapere che «è stata avviata una ricerca di mercato per reperire un nuovo immobile in sostituzione del palazzo di giustizia di via Nazariantz» e ricorda la stipula del protocollo d’intesa nel gennaio scorso tra il sindaco e il ministro Andrea Orlando, un atto «che consentirà finalmente di dare un’adeguata sistemazione agli uffici giudiziari cittadini presso l’area demaniale delle ex caserme Milano e Capozzi».
Di fatto, dopo la sospensione dell’agibilità, la palla passa alla prefettura. Che dovrà convocare un vertice con rappresentanti del governo per stabilire modi e tempi del trasferimento. E di certo non sarà un’operazione facile: si tratta infatti di spostare valanghe di documenti e strumenti utilizzati dalla polizia giudiziaria senza compromettere la continuità della funzione giurisdizionale. In poche parole: udienze e indagini non possono essere bloccate. E vanno avanti anche gli accertamenti avviati due mesi fa sulla situazione del palazzo di giustizia.
Un’altra inchiesta con le stesse ipotesi di reato fu aperta dalla Procura nel 2010. Anche all’epoca furono disposte verifiche tecniche e già allora sull’immobile aleggiava lo spettro della chiusura. Ma l’ipotesi più drastica fu accantonata dopo lavori di consolidamento. Che adesso, però, come emerge dalla perizia dello studio Vitone vengono ritenuti inutili o quantomeno insufficienti ai fini della staticità. Per lungo tempo si sono accavallati gli appelli di magistrati, avvocati e impiegati affinché dal governo ci fosse un intervento concreto su un tema così delicato per l’intera collettività. Ma così non è stato. La questione è finita invece al centro di aspre polemiche a livello politico che puntualmente non hanno portato a nulla.