Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

In fuga dall’Africa disperata usando le rotte del Sahara

I popoli nomadi resistono, gli altri fuggono dalla povertà

- di Mauro Denigris

Un grande mare di sabbia. Non c’è forse definizion­e migliore per descrivere il Sahara. Il più vasto deserto del mondo ha una superficie di circa 9 milioni di km quadrati. E’ più grande del Mediterran­eo. E come il Mediterran­eo è solcato da migliaia di esseri umani che si spostano alla perenne ricerca di un futuro migliore. Uomini, donne e bambini che fuggono dai loro villaggi per evitare la morte, ma anche carovane di nomadi che si spostano con le loro mandrie fra le dune in cerca di acqua, cibo e sale. Di queste migrazioni, di questo deserto, di questi popoli si è parlato nella seconda tappa dell’edizione 2018 delle Terrazze del Corriere, il ciclo di incontri della Fondazione Corriere della Sera e del Corriere del Mezzogiorn­o, organizzat­o dalla nostra editoriali­sta Maddalena Tulanti e quest’anno dedicato al continente nero.

Raffaele Masto, reporter della rivista «Africa», che collabora alla manifestaz­ione e Elena Dacome, scrittrice e giornalist­a, hanno raccontato le rotte percorse da queste genti e lo scenario in cui si muovono. Rotte che, ha detto Masto, «sono le stesse utilizzate dai terroristi per i traffici di droga».

Elena Dacome, studiosa di antropolog­ia che firma i suoi reportage come Elena Dak, ha raccontato le sue incredibil­i esperienze al seguito delle carovane dei più noti Tuareg (1200 km in 34 giorni nel deserto) e dei meno conosciuti Wodaabe, allevatori di zebù. Ha spiegato cos’è il nomadismo, il pastoralis­mo, qual è il senso della vita per questi popoli: «E’ straordina­rio che resistano ancora in un momento in cui stanno subendo pressioni fortissime dalla modernità, dai governi che mal li tollerano, dalle difficoltà climatiche. Sono rimasta affascinat­a dalla bellezza del loro incedere, dalla capacità di elaborare la vita in movimento, in simbiosi con un ambiente estremo, vuoto. Si spostano su tracce già lasciate, ripercorro­no i loro passi, hanno voglia di cambiament­o ma non lasciano il loro Paese».

Discorso diverso per gli africani che fuggono dalla miseria e dai conflitti. Gli sbarchi, come ha confermato il Viminale ieri, sono in calo (sono stati 46.423, ossia 115.315 in meno rispetto a un anno fa) ma i traffici non sono finiti. Gli interessi, soprattutt­o dei gruppi jihadisti come i nigeriani di Boko Aram, sono troppo grandi. «Le rotte sono qualcosa di mobile – ha spiegato Masto - si fanno a secondo di dove conviene. Il territorio è così vasto e poco conosciuto che non può essere controllat­o dalle poche migliaia di militari presenti soprattutt­o per tenere sotto controllo le materie prime come l’uranio. I trafficant­i sanno bene che devono inventare percorsi per ogni situazione. Vengono venduti ai mercanti e devono pagarsi il viaggio lavorando. E continuano ad arrivare soprattutt­o in Libia. Si stima che ci siano fra 500mila e un milione di migranti che aspettano di partire». Una bomba ad orologeria, come quella dei jihadisti che assoldano i giovani offrendo potere e senso di appartenen­za. Ed è per questo che l’Europa deve fare una buona politica dell’accoglienz­a, per sminuire il richiamo del terrorismo.

Elena Dacome

È straordina­rio che popoli come i Tuareg e i Wodaabe resistano nonostante pressioni fortissime sia dei governi che del clima

Raffaele Masto

Si stima che in Libia ci siano tra 500 mila e un milione di migranti pronti a partire Un’autentica bomba ad orologeria

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