Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
I bei tempi di quando si andava in villeggiatura
C’era una volta un altro mondo, un’altra vita. Un passato fatto di cose semplici, di atmosfere che restano negli occhi e nell’anima, di profumi che ritornano all’improvviso nelle narici, di partite a pallone (non sempre di cuoio) che terminavano con l’ultimo raggio di sole, di primi amori timidi nascosti e mai confessati.
In La chiamano estate, Quando andavamo in villeggiatura (Secop, euro 10), Valentino Losito, viaggia con il cuore in mano, un percorso che sa di nostalgia felliniana o pasoliniana. «Sa», perché il suo è un Amarcord diverso: più candido, più ricco di stupore e di incanto. Un approccio da adulto che, nella rivisitazione del borgo (Santo Spirito), ritorna ragazzo e riprova le stesse emozioni di quella età che non ritorna.
La prosa di Losito, in questi racconti brevi, confina con la poesia dalla prima all’ultima pagina. Prendete il passo in cui ricorda il moto di esultanza nei vecchi dei paesi dell’entroterra pugliese quando narravano, che ogni anno, il 29 giugno, festa dei santi apostoli Pietro e Paolo, il mare veniva scoperchiato dalle tavole che lo tenevano chiuso e invisibile agli occhi degli uomini nel resto dell’anno.
Il mare. Era l’estate. È l’estate pure ora in momenti di catarsi, con scene che non diresti «possibili»: Andrea che, con i suoi 90 anni, non rinuncia alla passione della pesca e, ad accompagnarlo, c’è la badante che lo assiste dopo la morte della moglie. Un’aiutante di campo che gli fa da spalla in tutto, anche nel sistemare l’esca sugli ami.
Sono figure alternative del testo, ma a dominare è l’Amarcord che va a braccetto con i sensi, come la magia dei temporali estivi: «... anche quando ti colgono in casa e si è protetti dagli scrosci della pioggia... ».
Però l’estate e la villeggiatura finiscono e giunge il momento di preparare la valigia per l’autunno. Finisce una domenica senza fine in cui si pensa di fare mille cose e invece, arriva settembre, «l’inesorabile lunedì».
Il «lunedì» a Losito non piace. Lo respinge e riprende a scrivere di favole raccontate dai nonni, della giostra abbattuta accartocciata e risorta, del carretto di gelati al limone, della littorina delle piccole stazioni di provincia. E ancora Losito scrive della malinconia di Piripicchio, comico di strada. E «crea» la storia del cavalluccio a dondolo del barbiere Emanuele che faceva distrarre i bambini mentre li rapava a zero. («Diamo a tutti un cavallo a dondolo») era un soggetto di Cesare Zavattini, come sottolinea Oscar Iarussi nella prefazione. Un soggetto carico di meraviglia. La stessa di Losito, negli anni in cui la meraviglia si è persa per strada.