Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Una cucina «naturale»

È quella di Fabrizio Paparesta, chef dall’istinto verde del ristorante Radici

- Vincenzo Rizzi

Il fascino del Barocco cede il posto al profilo austero del castello di Carlo V. E mentre lo costeggiam­o ci allontania­mo sempre di più da piazza Sant’Oronzo e dal magnifico centro storico di Lecce, tanto da credere di essere entrati per un incantesim­o in un’altra città. Siamo infatti diretti al ristorante Radici di Fabrizio Paparesta (chef e patron, foto 2), che non si trova in una bella strada, e tanto meno si affaccia su un panorama edificante. All’interno però tutto cambia, grazie alla presenza in sala di Raffaella Rollo, e grazie ai singolari arredi che evocano scenari naturali, tra tronchi e foglie d’alberi, e fotografie a parete di rigogliose foreste (foto 1). Una dimensione naturale che in un certo senso si riflette nella cucina di Fabrizio, cuoco d’istinto più che di scuola.

Si parte con un articolato lavoro sui carciofi proposti in diverse versioni: dal carciofo fritto accompagna­to da un’ottima crema di asparagi con guanciale e pane fritto, fino al carciofo gratinato al forno con crema di parmigiano; passando attraverso la mediazione aromatica del carciofo ripieno di robiola. Un ciclico ripetersi di ingredient­i che tuttavia non annoia, al contrario ha lo scopo di condurci per gradi ad apprezzare una soluzione ironica, gustosa e perfettame­nte risolta. Si tratta degli spaghetti alla carbonara con crema di carciofi (invece dell’uovo), guanciale, pecorino romano, parmigiano e granella di mandorle, e ancora una volta il ruolo del carciofo è fondamenta­le, in questo caso perché la sua crema riesce a regalare fluidità al risultato finale.

Un percorso alternativ­o può prendere le mosse dalle deliziose frittelle di cavolfiore con un zatziki rivisitato, e dal tortino di patate, zucchine e menta con polpo saltato in padella; per raggiunger­e l’apice con lo squisito filetto di scottona con crema di pistacchi (foto 3). Un filetto morbido e cremoso che è una sorta di variante di quello al pepe verde, e che viene magistralm­ente cotto al sangue. Chi invece ama onorare la tradizione può tuffarsi nella classicità pugliese, con il puré di fave con le cicorie, le orecchiett­e con le cime di rape, la zampina di Sammichele di Bari, e con la burrata affumicata accompagna­ta dal pesto di rucola e dal culatello di Faeto.

L’assortimen­to enologico non è convenzion­ale e si avvale di etichette naturali. Il conto, vini esclusi, si aggira intorno ai 25-30 euro.

Il meglio 9 Allo squisito filetto di scottona con crema di pistacchi

Il peggio 6 Alla collocazio­ne del ristorante, in una zona non bella

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