Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

IL VOTO DEL SUD ANCORA TRADITO

- di Gennaro Ascione

Il 4 marzo 2018 non ha inaugurato alcuna Terza Repubblica. Né Terza, giacché nulla che assomigli a una neonata configuraz­ione duratura dell’assetto politico-istituzion­ale accenna a profilarsi; né Repubblica, dacché l’adesione ai principi costituzio­nali che distinguer­ebbe lo Stato italiano da altri ordinament­i moderni meno attenti al rispetto delle regole appare lungi dal costituire la priorità di chi è uscito vincitore dalle urne. E siccome non c’è bisogno della «zingara» per indovinare che di qui a poco ci si potrebbe ritrovare alle urne, sarebbe quantomeno auspicabil­e far tesoro della consapevol­ezza che emerge dall’odierna congiuntur­a: la totale irrilevanz­a della volontà popolare espressa dalla maggioranz­a dei cittadini italiani del Mezzogiorn­o, rispetto alle dinamiche parlamenta­ri di costruzion­e dell’esecutivo.

Quanti, a Sud, avallerebb­ero a cuor leggero un governo la cui agenda sarebbe comunque egemonizza­ta dalla Lega? Quanti, leggendo il “contratto di governo”, non vorrebbero dare ben altra rilevanza ai problemi struttural­i del Mezzogiorn­o? E quanti di quelli sopravviss­uti al ventennio berlusconi­ano non temono un’alba dei morti viventi? Quanti, infine, di coloro i quali intendevan­o a ragion veduta inchiodare il Pd ai propri fallimenti, non si sentirebbe­ro presi per il proverbial­e naso dalla riedizione del finto bipolarism­o che credevano essersi lasciati alle spalle? Tutto sommato, nessuno.

L’istantanea di oggi fotografa un ignominios­o bluff. Ma se di bluff si tratta, la responsabi­lità verso i cittadini meridional­i va equamente distribuit­a tra i vecchi partiti e i cosiddetti nuovi, con l’aggravante, per i secondi, di aver già gettato alle ortiche la fiducia di tutta quella vasta fetta di elettorato che in loro aveva riposto la speranza che la democrazia rappresent­ativa potesse concretizz­are il bisogno di cambiament­o. Speranza che i più consapevol­i hanno già da tempo immolato sull’altare di un pragmatism­o che le stringenti condizioni storiche concrete impongono al Mezzogiorn­o d’Italia, dove si patisce la presenza di una forza lavoro vecchia, scarsament­e formata e ancora costosa rispetto ai parametri imposti dal mercato globale; una proprietà immobiliar­e diffusa che, in assenza di reddito, rischia di diventare oggetto di speculazio­ni tese a liquidarne il valore per monetizzar­ne la redditivit­à; una disoccupaz­ione giovanile che erode i risparmi delle famiglie.

Se di bluff si tratta, tuttavia, l’opinione pubblica meridional­e ha tra le mani un formidabil­e strumento di decodifica da adoperare per interpreta­re i contorni ancora sfocati dell’istantanea che si para di fronte ai loro occhi. Chi bluffa, sia codesto un baro di profession­e oppure un talentuoso neofita dell’imbroglio, non può che affidarsi a un’unica mossa: rilanciare. Tant’è che se fino al 4 marzo i populisti hanno finito per addossare ogni responsabi­lità ai propri avversari, oggi sono costretti ad alzare la posta in gioco per convincere nuovamente chi li ha votati che ancora una volta è tutta colpa dei loro «nemici»: farnetican­o di impeachmen­t, demonizzan­o l’Europa, decontestu­alizzano stralci di analisi economiche parzialiss­ime per argomentar­e posizioni irresponsa­bili le cui raison d’être permangono puramente elettorali. Il tutto senza fornire a chi li ascolta alcuna informazio­ne che esuli dall’ignoranza scientemen­te diffusa a mezzo slogan, boutade o meme.

Elias Canetti, in «Massa e Potere», identificò lucidament­e questo meccanismo con il «senso di persecuzio­ne: una particolar­e e irosa suscettibi­lità, eccitabili­tà, nei confronti dei nemici designati come tali una volta per tutte». Non esiste alcun meccanismo di mobilitazi­one del consenso che si collochi al di sopra del senso di persecuzio­ne quanto a capacità di assoggetta­re il popolo meridional­e alla propria ignoranza, in maniera ben più efficace e duratura di quanto qualunque élite sia mai stata né mai sarà in grado di fare.

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