Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Africa, il racconto dei medici in prima linea
Alberto Barbieri si occupa di aiuti sanitari alle popolazioni vulnerabili e conosce l’Africa Per il medico, relatore a «Le terrazze», la gestione dei migranti deve essere mondiale
«Idiritti umani prima di tutto». Alberto Barbieri, chirurgo e prossimo psicoterapeuta, è direttore di Medu, medici per i diritti umani. È un’associazione nata nel 2004 per occuparsi di aiuto sanitario alle «popolazioni vulnerabili» e di tutela delle stesse persone soccorse. Un’azione che Barbieri – relatore delle “Terrazze” organizzate dal Corriere – chiama di «cura e testimonianza». Cos’è l’Africa per lei, che è un soccorritore?
«Tante cose diverse. Ho lavorato laggiù, anche se per brevi periodi, e ne ho un ricordo intenso. Ma preferisco dire cosa è oggi. Rispetto a 10-15 anni fa, il concetto di Africa è profondamente cambiato. Oggi viviamo la stagione dell’emigrazione verso l’Europa e l’Italia, soprattutto dall’area sub-sahariana. E noi avvertiamo questo processo in modo drammatico».
La sua associazione di cosa si occupa?
«Di progetti di prima assistenza sanitaria e programmi di secondo livello per le persone vittime di tortura e violenze intenzionali. Incontriamo molto spesso uomini e donne che portano sulle loro spalle vicende drammatiche. Che, poi, altro non sono che il motivo della loro fuga: da Nigeria, Mali, Costa d’Avorio, Gambia, Corno d’Africa. Sono storie di violenze e persecuzioni subìte a causa del loro credo politico o religioso, oppure delle loro inclinazioni sessuali».
Parla di persecuzioni. E i migranti economici di cui si parla tanto?
«Sono solo il 10 per cento del totale. La gran parte scappa per non morire, chiedono rifugio e assistenza. A noi sfugge il concetto perché siamo ancorati ad un paradigma tradizionale della condizione di “rifugiato”: un modello figlio del mondo diviso in due blocchi e del Muro di Berlino».
Cosa vuol dire?
«La figura del rifugiato, nel secondo Dopoguerra, è stata elaborata individuando come tale il dissidente politico: che provenisse dall’ex Unione sovietica, dall’Europa orientale o dall’America Latina. Così è stato per lo più sacralizzato dalle norme internazionali, a partire dalla Convenzione di Ginevra. Dopo il Muro, sono cambiati i numeri (in ascesa) e le caratteristiche dei rifugiati».
Cosa pensa del proposito di rimandare a casa 600 mila immigrati?
«Lei allude al progetto della Lega, è preoccupante. Se ne parlerà concretamente quando sarà al governo. Tuttavia, tra slogan e complessità della realtà, c’è una differenza enorme. Per fare i rimpatri occorrono gli accordi con i Paesi di provenienza. Diversamente non si possono fare. Ad ogni modo va considerato che le persone di cui si tratta meritano se non il diritto d’asilo almeno la protezione umanitaria. Insisto: il 90% arriva con drammatiche storie di violenza alle spalle. Chi approda alle nostre coste ha diritto a ricevere supporto e accoglienza. Detto questo, per la gestione dell’emigrazione sarebbe necessario attivare una governance mondiale».
In concreto? «L’emigrazione è un fenomeno epocale e globale. Dipende da tanti fattori: crescita demografica, condizioni ambientali sfavorevoli che rendono inospitali vaste aree del pianeta, squilibri economici. Occorrono interventi di varia natura, a cominciare dalla salvaguardia del pianeta. Se non si garantisce la tenuta ambientale o non si contrastano gli squilibri economici, i fenomeni migratori sono destinati a crescere. L’importante, ad ogni modo, è che sempre siano tutelati i diritti umani».
La diplomazia dei diritti umani, come quella delle Ong, è finita sotto accusa in Italia. Perfino sotto inchiesta penale.
«Viviamo il tempo che potremmo descrivere come quello “post diritti umani”. Questo è grave. Noi, viceversa, diciamo che i diritti umani devono essere al centro di ogni politica. È il solo modo per garantire il pianeta: non il proposito per anime belle o solo una tensione etica. È una strategia di sopravvivenza. Le Ong sono finite nel mirino, è vero. Ogni azione produce dei contro effetti e non è detto che le Ong abbiano sempre e solo ragione. È giusto che anche loro siano sottoposte a critiche. Quello che si deve respingere sono gli attacchi strumentali e propagandistici. Il tema della migrazione è sottoposto a giudizi polarizzati. Questo impedisce una discussione serena. Ma quando non si strumentalizzano le questioni, una soluzione la si trova».