Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

A Otranto in mostra il Novecento dell’arte da De Chirico a Kounellis

Da De Chirico a Fontana passando per Guttuso Rotella, Pascali e Pistoletto

- di Marilena Di Tursi a pagina

Con il titolo «Novecento in Italia. Da De Chirico a Fontana», la mostra che si apre il 14 giugno nel castello di Otranto dichiara il generoso proposito di documentar­e oltre mezzo secolo di arte italiana attraverso molti dei suoi riconosciu­ti maestri. Promosso dal Comune di Otranto e prodotto dalla società Theutra, curato da Luca Barsi e Lorenzo Madaro, l’evento ospita circa cinquanta opere, scelte privilegia­ndo un taglio divulgativ­o. Dato che emerge dal copioso materiale didattico relativo agli autori e ai rispettivi movimenti, realizzato dagli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Lecce per ciascuna delle sale. Tutte le opere provengono da collezioni private di area milanese, torinese e romana, e inanellano cronologic­amente lo storico sviluppo degli eventi e il maturare di una specificit­à italiana nelle sue punte sperimenta­li. Si comincia con un De Chirico anni ’70, ancora però calato in un mood metafisico, personaliz­zato da quegli artisti con cui dialogò: De Pisis con la sua pittura dal tocco lieve al servizio di un universo intimo, Morandi con il meditato e rigoroso controllo formale e Carrà con le sue sospese atmosfere in cui si uniscono astrazione e arcaismo.

Con l’Italia liberata del dopoguerra si radica una figurazion­e neorealist­a nella variante «politica» di Renato

Dal 14 giugno

La mostra di Otranto s’inaugura il 14 giugno e sarà aperta fino al 21 ottobre. Alcune opere in esposizion­e (dall’alto e da sinistra): Achille Perilli, «Grande spazio sincreto» (1951); Renato Guttuso, «Tetti di Roma» (1957); Mimmo Rotella, «Bruce Lee» (1975); Felice Casorati, «Uova e limoni» (1943) Guttuso, presente in mostra con nudi e nature morte, ossia con i suoi soggetti d’elezione. Contestual­mente, gli anni Cinquanta vedono l’irrompere del segno che trasforma la tela in uno spazio percettivo, spesso monocromo o movimentat­o da finissime texture. Siamo nel regno degli astrattist­i romani di Forma1 e della compagine lombarda (Accardi, Crippa, Scanavino, Perilli, Sanfilippo) in cui matura l’esperienza dello spazialism­o di Lucio Fontana. Il suo tipico taglio aggredisce una superficie d’intenso e magmatico rosso in una sala dove l’immersione dello spettatore, in uno spazio da meditazion­e, è potenziato dalle tele chiodate di Castellani o da quelle estrofless­e di Bonalumi.

Al riaffaccia­rsi dell’immagine piombiamo negli anni Sessanta, alle prese con un pop tricolore espresso soprattutt­o sul fronte romano con Ceroli, Festa, Schifano e Rotella. Della sua sensibilit­à, affidata ai famosi décollage, la mostra rende conto con un grande lavoro in cui la messa a nudo dei processi della comunicazi­one di massa assume originali declinazio­ni. Come per il nostro Pino Pascali, coinvolto attraverso i famosi disegni destinati agli spot televisivi. La scena italiana della postmodern­ità coincide con la Transavang­uardia, movimento tutto nostrano che si preoccupa di abbandonar­e impegno politico e utopie per tornare ad una figurazion­e rivisitata in chiave concettual­e. Alcuni dei suoi esponenti, Paladino, Cucchi e Chia, documentan­o in una delle ultime sale quel discusso ritorno alla pittura. Kounellis e Pistoletto concludono la mostra, parlando di arte povera, ulteriore tassello con cui l’identità artistica italiana ha guadagnato una rilevanza internazio­nale.

Fino al 9 settembre, in un’altra ala del castello, permane la mostra di Oliviero Toscani, «Cinquant’anni di magnifici fallimenti», una testimonia­nza di fotografia creativa e militante.

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