Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Pinuccio, Nichi e gli altri leader del populismo prima di Conte
«Sono populista e me ne vanto». È il senso dell’affondo («se populismo è attitudine ad ascoltare i bisogni della gente, allora lo rivendichiamo») con cui il presidente del Consiglio, il pugliese Giuseppe Conte, ha smontato l’unica arma finora messa in campo dalla sinistra per fronteggiare il nuovo corso politico del Paese. Ma che tipo di populista è il presidente Conte? È presto per dirlo. Certo viene da una terra che, nella sua storia recente, ha raccontato diverse e sfaccettate forme di populismo. Da Pinuccio Tatarella a Nichi Vendola, per finire a Michele Emliano.
«Sono populista e me ne BARI vanto». È il senso dell’affondo («Se populismo è attitudine ad ascoltare i bisogni della gente, allora lo rivendichiamo») con cui il presidente del Consiglio, il pugliese Conte, ha smontato l’unica arma finora messa in campo dalla sinistra per fronteggiare il nuovo corso politico del Paese.
Non c’è articolo, trasmissione televisiva, in cui le schiere armate non si insultino al grido di «populista», «elitario», «establishment». Pochi si spingono a spiegare il senso delle parole, aumentando così sempre di più la divaricazione tra chi è «dentro» o «fuori», tra «alto e basso», tra il «popolo degli abissi» (Sapelli) e «la società degli integrati».
La letteratura è sterminata (a partire da Ortega y Gasset) come le definizioni: dal populismo dell’Ottocento, a quello 2.0, internettiano, analizzato da Revelli. Ma ci sono alcuni tratti comuni: il rancore verso chi ce l’ha fatta (dalla politica ai saperi accademici); contro i poteri forti, contro le élite, la globalizzazione, i diversi; il superamento delle categorie di destra e sinistra; la creazioè ne del «Nemico», gli invasori. Nel nostro tempo, gli immigrati. E poi, il sentimento di paura, la nostalgia per un passato incontaminato, rispetto alle incognite del futuro, l’esaltazione di un «popolo sacralizzato», la riscoperta delle «piccole patrie», il sovranismo, contro gli organismi sovranazionali.
Che tipo di populista è il presidente Conte ? È presto per dirlo. Anzi, l’impressione che abbia indossato un abito non suo. Sempre elegantissimo, non un capello fuori posto, a differenza dei calzini a righe di Salvini. Cattedratico, quando ironizza con Renzi («Mi ha dato del collega, ma lui è professore?»). Fa il populista, quando, dopo il voto di fiducia indica gli spalti della Camera, come fanno i calciatori che dedicano il gol ai loro ultras.
Ma la Puglia, prima di Conte,
li ha già conosciuti politici con tratti evidenti di populismo.
A cominciare da Pinuccio Tatarella, che diede contenuto, sostanza, alla trasformazione della destra missina, verso nuovo progetto di destra democratica ed europea. Il «ministro dell’armonia» nell’Italia dello scontro ideologico tra berlusconiani e anti-berlusconiani avverte l’esigenza di pacificazione sociale e prospetta alla destra un progetto per «andare oltre», aprendosi a nuovi mondi. Non supera le categorie di destra e di sinistra, ma avverte che non bastano più a spiegare il cambiamento dei tempi. Poi, il suo parlare schietto, lontano dal politicamente corretto, l’esaltazione della baresità.
Un populista intellettuale è Nichi Vendola. Sembra un paradosso, con le sue «esse musicali», i modi gentili ed eleganti. Una formazione scolpita nella tradizione della cultura comunista del dopoguerra, in cui, alle riunioni di partito i dirigenti si davano del lei. In un libro ricorda che «quando dovevo incontrare Natta studiavo per tutta la notte un qualche autore latino». Eppure il Vendola che sfonda è un efficace mobilitatore delle masse, che con l’oratoria e il carisma genera sogni. Il Sud di Vendola è un mix di taranta, processione, santi, plebi contadine. Come scrisse Antonella Rampino, il suo è un «populismo mistico», forgiato dalle «cantate del popolo a voce aperta, delle preghiere salentine al vento».
Il presidente Emiliano è il prodotto più compiuto del «populismo 2.0». Più inserito nello spirito dei tempi. A sinistra è uno dei pochi che comprende l’uso sempre più invasivo e determinante di internet. Imperversa sui social, dialoga e spesso litiga con chi osa criticarlo. È popolare e popolano. Per le elezioni regionali mette su una rete di cittadini che contribuisce a formare il programma di governo, ben prima che lo facciano i grillini con la loro piattaforma. Da sindaco di Bari, assume i tratti dello sceriffo per fustigare il malcostume dei concittadini. Dà voce a qualsiasi forma di protesta. Non disdegna di farsi immortalare a consumare focacce e cozze. Un personalismo che i vecchi dirigenti comunisti avrebbero aborrito. Ama, di un amore non ricambiato, i giovani grillini. È il populista del Pd, e questo abito gli piace.