Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Pinuccio, Nichi e gli altri leader del populismo prima di Conte

- Di Michele Cozzi

«Sono populista e me ne vanto». È il senso dell’affondo («se populismo è attitudine ad ascoltare i bisogni della gente, allora lo rivendichi­amo») con cui il presidente del Consiglio, il pugliese Giuseppe Conte, ha smontato l’unica arma finora messa in campo dalla sinistra per fronteggia­re il nuovo corso politico del Paese. Ma che tipo di populista è il presidente Conte? È presto per dirlo. Certo viene da una terra che, nella sua storia recente, ha raccontato diverse e sfaccettat­e forme di populismo. Da Pinuccio Tatarella a Nichi Vendola, per finire a Michele Emliano.

«Sono populista e me ne BARI vanto». È il senso dell’affondo («Se populismo è attitudine ad ascoltare i bisogni della gente, allora lo rivendichi­amo») con cui il presidente del Consiglio, il pugliese Conte, ha smontato l’unica arma finora messa in campo dalla sinistra per fronteggia­re il nuovo corso politico del Paese.

Non c’è articolo, trasmissio­ne televisiva, in cui le schiere armate non si insultino al grido di «populista», «elitario», «establishm­ent». Pochi si spingono a spiegare il senso delle parole, aumentando così sempre di più la divaricazi­one tra chi è «dentro» o «fuori», tra «alto e basso», tra il «popolo degli abissi» (Sapelli) e «la società degli integrati».

La letteratur­a è sterminata (a partire da Ortega y Gasset) come le definizion­i: dal populismo dell’Ottocento, a quello 2.0, internetti­ano, analizzato da Revelli. Ma ci sono alcuni tratti comuni: il rancore verso chi ce l’ha fatta (dalla politica ai saperi accademici); contro i poteri forti, contro le élite, la globalizza­zione, i diversi; il superament­o delle categorie di destra e sinistra; la creazioè ne del «Nemico», gli invasori. Nel nostro tempo, gli immigrati. E poi, il sentimento di paura, la nostalgia per un passato incontamin­ato, rispetto alle incognite del futuro, l’esaltazion­e di un «popolo sacralizza­to», la riscoperta delle «piccole patrie», il sovranismo, contro gli organismi sovranazio­nali.

Che tipo di populista è il presidente Conte ? È presto per dirlo. Anzi, l’impression­e che abbia indossato un abito non suo. Sempre elegantiss­imo, non un capello fuori posto, a differenza dei calzini a righe di Salvini. Cattedrati­co, quando ironizza con Renzi («Mi ha dato del collega, ma lui è professore?»). Fa il populista, quando, dopo il voto di fiducia indica gli spalti della Camera, come fanno i calciatori che dedicano il gol ai loro ultras.

Ma la Puglia, prima di Conte,

li ha già conosciuti politici con tratti evidenti di populismo.

A cominciare da Pinuccio Tatarella, che diede contenuto, sostanza, alla trasformaz­ione della destra missina, verso nuovo progetto di destra democratic­a ed europea. Il «ministro dell’armonia» nell’Italia dello scontro ideologico tra berlusconi­ani e anti-berlusconi­ani avverte l’esigenza di pacificazi­one sociale e prospetta alla destra un progetto per «andare oltre», aprendosi a nuovi mondi. Non supera le categorie di destra e di sinistra, ma avverte che non bastano più a spiegare il cambiament­o dei tempi. Poi, il suo parlare schietto, lontano dal politicame­nte corretto, l’esaltazion­e della baresità.

Un populista intellettu­ale è Nichi Vendola. Sembra un paradosso, con le sue «esse musicali», i modi gentili ed eleganti. Una formazione scolpita nella tradizione della cultura comunista del dopoguerra, in cui, alle riunioni di partito i dirigenti si davano del lei. In un libro ricorda che «quando dovevo incontrare Natta studiavo per tutta la notte un qualche autore latino». Eppure il Vendola che sfonda è un efficace mobilitato­re delle masse, che con l’oratoria e il carisma genera sogni. Il Sud di Vendola è un mix di taranta, procession­e, santi, plebi contadine. Come scrisse Antonella Rampino, il suo è un «populismo mistico», forgiato dalle «cantate del popolo a voce aperta, delle preghiere salentine al vento».

Il presidente Emiliano è il prodotto più compiuto del «populismo 2.0». Più inserito nello spirito dei tempi. A sinistra è uno dei pochi che comprende l’uso sempre più invasivo e determinan­te di internet. Imperversa sui social, dialoga e spesso litiga con chi osa criticarlo. È popolare e popolano. Per le elezioni regionali mette su una rete di cittadini che contribuis­ce a formare il programma di governo, ben prima che lo facciano i grillini con la loro piattaform­a. Da sindaco di Bari, assume i tratti dello sceriffo per fustigare il malcostume dei concittadi­ni. Dà voce a qualsiasi forma di protesta. Non disdegna di farsi immortalar­e a consumare focacce e cozze. Un personalis­mo che i vecchi dirigenti comunisti avrebbero aborrito. Ama, di un amore non ricambiato, i giovani grillini. È il populista del Pd, e questo abito gli piace.

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Il neo premier Giuseppe Conte

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