Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Ragno, l’allenatore vincente snobbato dal grande calcio
Nicola Ragno, allenatore e bancario, colleziona promozioni dalla D in giù «Però in serie C nessuno mi vuole»
Dopo 21 anni, forse è la volta buona. Forse, perché Nicola Ragno, lo «special one» delle categorie che vanno dalla serie D in giù, ha per ora solo un accordo verbale con il presidente del Potenza per la conferma in serie C, dopo l’ennesima cavalcata trionfale in D. Di certo sarebbe il doveroso riconoscimento per un allenatore che ha ottenuto ben 10 promozioni in carriera, lasciando un ricordo indelebile nella mente dei tifosi e dei giocatori. «Ognuna di queste è stata bella da vivere – ha detto – e ha avuto la sua importanza. Questa è la seconda consecutiva in serie D (lo scorso anno vinse a Bisceglie, ma non fu confermato ndr). Nessuno mai aveva provato a vincere due gironi H, che ritengo essere il più difficile in Italia. E specifico che non era nemmeno previsto peraltro che ci imponessimo già al primo anno. È stato un miracolo calcistico. Cosa sarebbe la serie C per me? Avrebbe il senso del coronamento di un sogno».
Il concetto di sogno in realtà fa tremendamente a pugni con un percorso di concretezza micidiale di Ragno. Promozione, Eccellenza, serie D. Tutti scalpi per l’allenatore molfettese apprezzato per serietà, competenza, cura maniacale dei dettagli. «Sono un martello – prosegue – dal primo all’ultimo giorno. Voglio il massimo durante gli allenamenti e le partite da parte di tutti i giocatori. Studio approfonditamente i particolari perché portano in dote quegli 1-2 punti che a lungo andare fanno la differenza». È la ricetta di ogni successo, così ha fatto sin dalla prima volta. Così continuerà.
Per essere seguito in un percorso del genere sono chiaramente necessarie autorevolezza e leadership, considerazione e apprezzamento da parte del gruppo. Non si tratta di pugno di ferro, bensì di capacità di riconoscere a ognuno la sua importanza. Prendiamo il caso del campionato appena concluso. Raramente il tecnico molfettese aveva avuto rose così ampie, così tanti giocatori. Eppure è riuscito a valorizzarli tutti, costruendo un gruppo solido prima ancora che una squadra forte. Pure i moduli, di fronte a princìpi di questo tipo, lasciano il tempo che trovano, diventando un semplice meccanismo di una macchina quasi perfetta. Ra- gno ama il 4-3-3, ma è partito nella scorsa stagione con il 42-4, fino ad arrivare al 3-5-2. Non esiste, in altre parole, un dogma che prescinda dalle caratteristiche dei giocatori. È sulla base di quelle che si costruiscono i moduli.
Ci sarebbe da chiedersi perché uno che ha vinto a Nardò e Andria, Bitonto e Ostuni, Bisceglie e Noicattaro, Monopoli e Potenza, che tempo fa stupì gli esperti del pallone per aver ottenuto 102 punti in stagione, non abbia trovato proseliti nel calcio che conta. Tante volte pareva sul punto di spiccare il salto, ma c’era sempre un dettaglio che facesse saltare tutto sul più bello. Forse era ed è solo questione di tempo. O forse le strade per arrivare più su sono accidentate e impervie. Molto più di quel che sembri, e non solo per l’intrinseca difficoltà. «È una domanda che mi sono posto molto tempo fa – conclude – credo che la crisi del calcio italiano non vada guardata solo ad alti livelli, ma anche dal basso. Se invece di Nicola Ragno mi fossi chiamato in altro modo, ora sarei stato in altre categorie. Poi, per raggiungere certi traguardi, occorre aggrapparsi a qualche carro e scendere a compromessi. Io non ho carri, ho il mio modo di vedere il calcio e non faccio deroghe. Preferisco dettar legge e fare di testa mia». Che poi è la testa di un vincente, professionale prima ancora di essere professionista. Uno che magari nell’atteggiamento dei professionisti godrebbe pure di una sponda più vicina al suo pensiero e al suo modo di intendere il calcio. Il calcio e la vita. Perché Ragno, che oltre all’allenatore fa il bancario, sa come si affrontano e superano i problemi. E sa pure come si gestiscono le sconfitte. Quelle più brutte e dolorose, che non dipendono da te, ma sono solo ferite riservate dal destino. Come la perdita della figlia, 10 anni fa, a causa di un male incurabile. Ogni successo ha il sorriso e il nome di quella bellissima bimba. Porta una dedica e un ricordo. Dieci promozioni, in confronto, sono quasi un bicchier d’acqua.
La serie C per me? Avrebbe il senso del coronamento di un sogno
Per raggiungere certi traguardi occorre salire su qualche carro