Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Genisi abbandona il noir e indaga l’animo umano
La scrittrice è in libreria con «La teoria di Camila». «Ma Lolita tornerà presto»
Èquando perdi tuo padre che tutto cambia, scrive Gabriella Genisi nel suo ultimo romanzo. E’ come scavalcare un muro e andare dall’altra parte della vita. Può succedere a tre anni, a venti o a cinquanta. L’età c’entra poco. E’ il momento preciso in cui smetti di essere figlia/o, devi dimostrare chi sei, ed è lì che cresci di colpo. «Avevo quarant’anni ed ero madre di due figli già grandi quando è morto mio padre. Pensavo di essere diventata adulta con la maternità. Invece no. Sono cresciuta da quel momento, dall’attimo dopo che lui non c’era più».
Gabriella Genisi è nella sua casa vicino a Bari. E’ appena tornata da Palermo, va su e giù per l’Italia a presentare La teoria di Camila (Giulio Perrone Editore, 157 pagg. 13 €) uscito meno di un mese fa. Ecco, dimenticate per un attimo Lolita Lobosco, il più famoso dei suoi personaggi. Sappiate che il commissario sta bene, è momentaneamente a riposo, e tornerà di sicuro. Ora però è la volta di questo libro assai diverso, una storia personale e familiare in cui ognuno volendo può trovare un pezzo di sé. «Una storia ad alto tasso emotivo», dice Genisi.
Come mai un cambio di registro così radicale?
«Mi sono sempre ritenuta una giallista per caso. Ho tanti modi di scrivere e mi piace scrivere di tutto».
Al centro del romanzo c’è la storia di Marco, 49enne un po’ deluso dalla vita, che quando perde suo padre ripensa tutto quanto.
«Sì, per questo lo considero un romanzo di formazione. Il monito che il padre gli lascia è di non arrendersi. Si può cominciare sempre, non è mai tardi. E soprattutto non bisogna rinunciare all’amore».
A volte certe perdite sono come una scintilla.
«Ci vuole sempre una scintilla iniziale per arrivare da qualche parte. Io, ad esempio, ho cominciato a scrivere solo dopo la morte di mio padre. Proust diceva che i libri sono figli del silenzio, della notte, arrivano dopo un periodo doloroso».
Ma lei avrebbe mai immaginato una carriera così?
«Assolutamente no (ride), anche se ero molto brava in italiano, i miei temi facevano il giro della scuola. Avevo il dono della cantastorie. Poi però ho fatto una scelta anticonvenzionale rispetto a quel periodo, gli Anni Ottanta, quando c’era il mito della donna in carriera. Tutte le mie amiche con lavori impegnati e io la casalinga». Come la casalinga?
«Sì, non volevo lavorare. Fu
un grande dolore per i miei. Ogni genitore ha delle aspirazioni per i propri figli, si sa. Poi invece è arrivata la scrittura. Da lì i contratti con le case editrici, i tour in giro per l’Italia, il rapporto con i lettori, la vita è cambiata».
Vive sempre tra la Puglia e Parigi?
«Sì, la prima volta che ci sono andata ho avvertito un legame molto forte. Succede che scopriamo per caso la città dell’anima».
A proposito di legami, La teoria di Camila è un romanzo che declina l’amore: l’amore genitoriale, l’amore che inizia, quello che finisce..
«L’amore tra genitori e figli mi sembra quello più difficile. Noi figli tendiamo a darlo per scontato, lo viviamo in maniera passiva, sempre presi dalle nostre vite complicatissime, ci aspettiamo che siano i genitori a prendersene cura. Spesso ce ne rendiamo conto quando è troppo tardi».
Poi c’è l’amore segreto come cura.
«E’ l’amore che vive il padre di Marco, una vita immaginaria e parallela. La cura a una vita un po’ arida. Spesso le relazione extraconiugali vengono schematizzate, senza conoscerle. Invece credo che ogni storia d’amore vada capita».
E poi la cura, l’assistenza. Anche quella è una forma di amore. Camila è una badante…
«Le badanti sono persone fondamentali. Abitano nelle nostre case, sono custodi dei nostri segreti famigliari, hanno lasciato la loro vita per semplificare le nostra. Siamo portati a vederle come schiave, ci irrigidiamo se ci chiedono un mese di ferie per tornare a casa dai loro figli. Noi che siamo la patria delle madri ci siamo resi responsabili di una migrazione di madri. Ecco, in questo libro ho voluto dare dignità a queste figure che la letteratura ancora non racconta».
Figli del silenzio Proust diceva che i libri sono figli del silenzio, della notte, arrivano dopo un periodo doloroso
Figure sconosciute
Ho voluto dare dignità alle badanti, figure che la letteratura ancora non racconta