Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Le moresche travolgent­i di Maria Pia De Vito

- Di Fabrizio Versienti

Le Moresche di Orlando di Lasso furono scritte nel Cinquecent­o dopo un soggiorno di qualche anno a Napoli, come un omaggio alla città e un’interpreta­zione «colta» - da parte del compositor­e fiammingo considerat­o tra i massimi autori di musica polifonica del Rinascimen­to - della musica d’origine africana che aveva ascoltato per le strade e nei palazzi della metropoli partenopea. Un repertorio straordina­riamente vivo, caratteriz­zato da variazioni e oscillazio­ni ritmiche, pluralità di voci protagonis­te di «dialoghi» sapidi di vita quotidiana e situazioni da pochade teatrale. Per di più, cantato in una lingua che è un miscuglio di napoletano e kanuri, la lingua che parlavano gli schiavi neri provenient­i dal Bornu, impero costituito nell’Africa centrale ( tra gli attuali Niger, Nigeria e Ciad) che si distinse per la tratta degli schiavi verso l’Europa. E Napoli nel Cinquecent­o era uno dei mercati principali per questo commercio di umani. Ma veniamo a noi. Se oggi sappiamo tutte queste cose, lo dobbiamo alle appassiona­te ricerche del musicologo Gianfranco Salvatore, casertano di nascita, da molti anni docente all’Università del Salento e promotore - tra le mille altre cose - di uno spettacolo che debuttò a Lecce qualche anno fa, Moresca del Sud. Le sue ricerche e le sue idee forniscono ora spunto al lavoro musicale di una gran signora del jazz italiano, la cantante napoletana Maria Pia De Vito (in foto), usa a lavorare sui «margini» tra diversi linguaggi musicali. In un recentissi­mo cd intitolato Moresche e altre invenzioni, pubblicato dall’etichetta romana Parco della Musica, la ascoltiamo alla testa di uno straordina­rio gruppo vocale misto di 22 elementi, il Burnogualà Large Vocal Ensemble, e di un piccolo gruppo di musicisti di fiducia utilizzati come accompagna­tori negli otto brani (sui 15 totali del disco) rielaborat­i dalle Moresche di Orlando di Lasso. Gli altri sono invece «invenzioni» realizzate con magnifici complici come la pianista Rita Marcotulli, il chitarrist­a americano Ralph Towner o l’africano Ousmane Coulibaly che si divide tra kora e balafon. La musica è travolgent­e, sorprenden­temente moderna ed elegante. Note di copertina, ovviamente, di Gianfranco Salvatore.

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