Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Le moresche travolgenti di Maria Pia De Vito
Le Moresche di Orlando di Lasso furono scritte nel Cinquecento dopo un soggiorno di qualche anno a Napoli, come un omaggio alla città e un’interpretazione «colta» - da parte del compositore fiammingo considerato tra i massimi autori di musica polifonica del Rinascimento - della musica d’origine africana che aveva ascoltato per le strade e nei palazzi della metropoli partenopea. Un repertorio straordinariamente vivo, caratterizzato da variazioni e oscillazioni ritmiche, pluralità di voci protagoniste di «dialoghi» sapidi di vita quotidiana e situazioni da pochade teatrale. Per di più, cantato in una lingua che è un miscuglio di napoletano e kanuri, la lingua che parlavano gli schiavi neri provenienti dal Bornu, impero costituito nell’Africa centrale ( tra gli attuali Niger, Nigeria e Ciad) che si distinse per la tratta degli schiavi verso l’Europa. E Napoli nel Cinquecento era uno dei mercati principali per questo commercio di umani. Ma veniamo a noi. Se oggi sappiamo tutte queste cose, lo dobbiamo alle appassionate ricerche del musicologo Gianfranco Salvatore, casertano di nascita, da molti anni docente all’Università del Salento e promotore - tra le mille altre cose - di uno spettacolo che debuttò a Lecce qualche anno fa, Moresca del Sud. Le sue ricerche e le sue idee forniscono ora spunto al lavoro musicale di una gran signora del jazz italiano, la cantante napoletana Maria Pia De Vito (in foto), usa a lavorare sui «margini» tra diversi linguaggi musicali. In un recentissimo cd intitolato Moresche e altre invenzioni, pubblicato dall’etichetta romana Parco della Musica, la ascoltiamo alla testa di uno straordinario gruppo vocale misto di 22 elementi, il Burnogualà Large Vocal Ensemble, e di un piccolo gruppo di musicisti di fiducia utilizzati come accompagnatori negli otto brani (sui 15 totali del disco) rielaborati dalle Moresche di Orlando di Lasso. Gli altri sono invece «invenzioni» realizzate con magnifici complici come la pianista Rita Marcotulli, il chitarrista americano Ralph Towner o l’africano Ousmane Coulibaly che si divide tra kora e balafon. La musica è travolgente, sorprendentemente moderna ed elegante. Note di copertina, ovviamente, di Gianfranco Salvatore.