Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Le paure e le crisi dell’Africa sulla terrazza del Corriere
Di questo si parla nell’appuntamento di domani delle «Terrazze del Corriere»
«Si era alla volta tra due epoche: la fine del colonialismo e l’inizio dell’indipendenza. Ho cercato di descrivere questo cambiamento, questo sconvolgimento, questa rivoluzione. (…) Ho voluto mostrare qualche scena del dramma africano di cui non ho visto l’inizio e che forse non avrà mai fine, qualche scena colta casualmente e casualmente scelta per questa raccolta. Non ho cercato di attualizzare niente: sarebbe un compito senza speranza. Il dramma continua a svolgersi e, in realtà, ogni libro di questo genere dovrebbe chiudersi con la parola: continua».
Sono parole, quelle di Ryszard Kapuscinsky, che introducono il suo libro Se tutta l’Africa che, se lette a posteriori, risuonano come un’inesorabile profezia di tragedia. Un vaticinio scritto da un reporter che, negli anni ’60, quando sul proscenio della storia veniva messa in atto la nascita del continente africano, riusciva a puntare lo sguardo e la penna ben oltre quelle che erano le cerimonie di facciata, i proclami altisonanti e le parole di avveniristica palingenesi gridate dai nuovi satrapi del continente. Il Maestro di quel giornalismo africanista praticato lontano dai cocktail party, ma consumando la suola delle scarpe, spingendosi tra le polveri del Sahel e le foreste infestate dalla malaria, osservando in filigrana i meccanismi della nascita dell’Africa indipendente, era capace di prevedere quella che sarebbe stata l’Africa odierna: un continente divorato ancora da un «persistente dramma».
E’ trascorso quasi mezzo secolo da quando lo scrittore polacco incideva sulla sua Moleskine le parole appena lette e quello che oggi possiamo constatare è l’incedere inesorabile delle crisi africane. Somalia, Nigeria, Ciad, Sudan, Sud Sudan, Congo, Burundi, Repubblica Centrafricana, sono nomi di Paesi che, ripetuti come un mantra, ci portano in quegli angoli dell’Africa dove siccità, guerre ataviche, odi interetnici, furori religiosi e conflitti per il sottosuolo non trovano fine. Coni d’ombra della nostra contemporaneità dove la tragedia sembra essersi cristallizzata condannando le genti a una rassegnazione senza remissione.
«Io e la Somalia contro il mondo, io e il mio clan contro la Somalia, io e la mia famiglia contro il mio clan, io e mio fratello contro la mia famiglia, io contro mio fratello, io contro il Mondo!». E’ un vecchio detto somalo, ma oggi è anche un grimaldello per aprire le porte che conducono nelle crisi del continente africano. E per addentrarsi in questo mondo dove l’orrore è tangibile in ogni dove, bisogna farlo partendo dal Corno d’Africa.
La Somalia, ex colonia italiana, è l’istantanea della guerra. Un Paese che per antonomasia è sinonimo di conflitto, fame, odio. Dalla caduta di Siad Barre ad oggi, la nazione ha conosciuto prima l’anarchismo delle soldataglie dei War Lords, poi il fanatismo degli jihadisti di Al Shabaab e consequenzialmente la pirateria, le siccità e le carestie implacabili. In questa terra non sono più gli uomini a controllare la guerra, ma è la guerra che controlla gli uomini, come un Moloch che esige inclemente il suo tributo di vite. E un orrore analogo, soltanto più recente, lo si trova percorrendo un coast to coast saheliano e attraccando sulle sabbie del nord est della Nigeria dove la setta jihadista di Boko Haram sta falcidiando uomini e donne. I mujaheddin del Califfato d’Africa, che hanno fatto dell’eresia una fede assassina. Con la loro «guerra santa», hanno causato la morte di 20 mila persone e oltre 2 milioni sono i profughi. Genti, quelle che abitano nel bacino del lago Ciad, strette anche da un’altra morsa, quella della desertificazione. Il lago infatti, fortilizio degli islamisti, sta soccombendo all’avanzata del Sahara e la mancanza di acqua, pascoli e pesce sta condannando le popolazioni che qui vi abitano all’incubo delle paure primigenie: la fame e la sete.
Altre paure invece popolano il Cuore di Tenebra dell’Africa: la Repubblica democratica del Congo, dove tra foreste inviolabili si combattono mille guerre per il controllo del sottosuolo. Gomma, oro, diamanti, cassiterite, uranio, coltan. Il Congo ha sempre fornito al mondo ciò di cui il mondo aveva bisogno ed è stato però rimborsato con le epidemie, i genocidi e gli stupri. E’ questa infatti la terra che annovera tra i tanti orrori anche l’agghiacciante primato di essere il primo paese al mondo per numero di violenze sessuali: 15 mila stupri in un anno, uno ogni mezz’ora. Senza dimenticare poi il regime di Nkurunziza in Burundi, la guerra silenziosa del Sud Sudan, il disfacimento della Repubblica Centrafricana. Un arcipelago di orrori in cui addentrarsi, per il dovere di conoscere la nostra contemporaneità, impegnandosi a compiere un viaggio ad occhi aperti anche quando si vorrebbe tenerli chiusi.