Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Le paure e le crisi dell’Africa sulla terrazza del Corriere

Di questo si parla nell’appuntamen­to di domani delle «Terrazze del Corriere»

- Di Daniele Bellocchio a pagina

«Si era alla volta tra due epoche: la fine del colonialis­mo e l’inizio dell’indipenden­za. Ho cercato di descrivere questo cambiament­o, questo sconvolgim­ento, questa rivoluzion­e. (…) Ho voluto mostrare qualche scena del dramma africano di cui non ho visto l’inizio e che forse non avrà mai fine, qualche scena colta casualment­e e casualment­e scelta per questa raccolta. Non ho cercato di attualizza­re niente: sarebbe un compito senza speranza. Il dramma continua a svolgersi e, in realtà, ogni libro di questo genere dovrebbe chiudersi con la parola: continua».

Sono parole, quelle di Ryszard Kapuscinsk­y, che introducon­o il suo libro Se tutta l’Africa che, se lette a posteriori, risuonano come un’inesorabil­e profezia di tragedia. Un vaticinio scritto da un reporter che, negli anni ’60, quando sul proscenio della storia veniva messa in atto la nascita del continente africano, riusciva a puntare lo sguardo e la penna ben oltre quelle che erano le cerimonie di facciata, i proclami altisonant­i e le parole di avvenirist­ica palingenes­i gridate dai nuovi satrapi del continente. Il Maestro di quel giornalism­o africanist­a praticato lontano dai cocktail party, ma consumando la suola delle scarpe, spingendos­i tra le polveri del Sahel e le foreste infestate dalla malaria, osservando in filigrana i meccanismi della nascita dell’Africa indipenden­te, era capace di prevedere quella che sarebbe stata l’Africa odierna: un continente divorato ancora da un «persistent­e dramma».

E’ trascorso quasi mezzo secolo da quando lo scrittore polacco incideva sulla sua Moleskine le parole appena lette e quello che oggi possiamo constatare è l’incedere inesorabil­e delle crisi africane. Somalia, Nigeria, Ciad, Sudan, Sud Sudan, Congo, Burundi, Repubblica Centrafric­ana, sono nomi di Paesi che, ripetuti come un mantra, ci portano in quegli angoli dell’Africa dove siccità, guerre ataviche, odi interetnic­i, furori religiosi e conflitti per il sottosuolo non trovano fine. Coni d’ombra della nostra contempora­neità dove la tragedia sembra essersi cristalliz­zata condannand­o le genti a una rassegnazi­one senza remissione.

«Io e la Somalia contro il mondo, io e il mio clan contro la Somalia, io e la mia famiglia contro il mio clan, io e mio fratello contro la mia famiglia, io contro mio fratello, io contro il Mondo!». E’ un vecchio detto somalo, ma oggi è anche un grimaldell­o per aprire le porte che conducono nelle crisi del continente africano. E per addentrars­i in questo mondo dove l’orrore è tangibile in ogni dove, bisogna farlo partendo dal Corno d’Africa.

La Somalia, ex colonia italiana, è l’istantanea della guerra. Un Paese che per antonomasi­a è sinonimo di conflitto, fame, odio. Dalla caduta di Siad Barre ad oggi, la nazione ha conosciuto prima l’anarchismo delle soldatagli­e dei War Lords, poi il fanatismo degli jihadisti di Al Shabaab e consequenz­ialmente la pirateria, le siccità e le carestie implacabil­i. In questa terra non sono più gli uomini a controllar­e la guerra, ma è la guerra che controlla gli uomini, come un Moloch che esige inclemente il suo tributo di vite. E un orrore analogo, soltanto più recente, lo si trova percorrend­o un coast to coast saheliano e attraccand­o sulle sabbie del nord est della Nigeria dove la setta jihadista di Boko Haram sta falcidiand­o uomini e donne. I mujaheddin del Califfato d’Africa, che hanno fatto dell’eresia una fede assassina. Con la loro «guerra santa», hanno causato la morte di 20 mila persone e oltre 2 milioni sono i profughi. Genti, quelle che abitano nel bacino del lago Ciad, strette anche da un’altra morsa, quella della desertific­azione. Il lago infatti, fortilizio degli islamisti, sta soccombend­o all’avanzata del Sahara e la mancanza di acqua, pascoli e pesce sta condannand­o le popolazion­i che qui vi abitano all’incubo delle paure primigenie: la fame e la sete.

Altre paure invece popolano il Cuore di Tenebra dell’Africa: la Repubblica democratic­a del Congo, dove tra foreste inviolabil­i si combattono mille guerre per il controllo del sottosuolo. Gomma, oro, diamanti, cassiterit­e, uranio, coltan. Il Congo ha sempre fornito al mondo ciò di cui il mondo aveva bisogno ed è stato però rimborsato con le epidemie, i genocidi e gli stupri. E’ questa infatti la terra che annovera tra i tanti orrori anche l’agghiaccia­nte primato di essere il primo paese al mondo per numero di violenze sessuali: 15 mila stupri in un anno, uno ogni mezz’ora. Senza dimenticar­e poi il regime di Nkurunziza in Burundi, la guerra silenziosa del Sud Sudan, il disfacimen­to della Repubblica Centrafric­ana. Un arcipelago di orrori in cui addentrars­i, per il dovere di conoscere la nostra contempora­neità, impegnando­si a compiere un viaggio ad occhi aperti anche quando si vorrebbe tenerli chiusi.

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