Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Diritti sospesi, regole in tilt Così lo Stato non dà risposte

- Di Michele Laforgia

S’ils n’ont plus de pain, qu’ils mangent de la brioche. Se non hanno più pane, che mangino brioche. La frase, tradiziona­lmente attribuita a Maria Antonietta, potrebbe essere stata pronunciat­a dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che giovedì sera, secondo il nuovo galateo istituzion­ale del governo del cambiament­o, ha trionfalme­nte annunciato su Facebook la sospension­e di tutti i processi penali da svolgere presso il tribunale di Bari sino al 30 settembre. Nelle settimane scorse magistrati, avvocati e personale amministra­tivo si erano adattati a tenere le udienze persino sotto le tende, pur di non interrompe­re un servizio pubblico essenziale dopo l’inagibilit­à del palazzo di via Nazariantz, nella vana speranza di ottenere una soluzione in tempi brevi. Agli affamati di pane e giustizia il Ministro ha offerto brioche: se i processi non hanno un luogo per essere celebrati, sempliceme­nte non si fanno. Come non averci pensato prima, viene da dire. Una soluzione da estendere al più presto ad altri settori: ad esempio, se le liste d’attesa della sanità pubblica sono troppo lunghe, aboliamole. Sospendiam­o i ricoveri per qualche mese, poi si vede. E magari anche nelle scuole: tutti in vacanza per un anno. Non solo. Il ministro ha annunciato, giocondo, che l’abolizione temporanea del tribunale di «consentirà di poter smantellar­e le tensostrut­ture», mentre si sta «siglando la convenzion­e che consentirà il trasferime­nto degli uffici giudiziari in altro stabile» e sarebbe «in dirittura d’arrivo l’individuaz­ione della soluzione-ponte» da allestire all’esito della ricerca di mercato, sempre in attesa, futura e sempre più incerta, di un nuovo, idoneo e dignitoso palazzo di giustizia. Insomma, avevamo tutti implorato il neo ministro di non interrompe­re l’attività giudiziari­a, di scongiurar­e l’ulteriore diaspora degli uffici e delle aule e di individuar­e contestual­mente una soluzione definitiva, magari finanziand­ola. Il ministro, mettendoci la faccia, come ha ribadito, ha fatto l’esatto contrario, certifican­do con decreto legge che il tribunale di Bari per ora può fare a meno della giustizia penale. Non c’è bisogno di un commissari­o, ha scritto, «perché ci sono io e lo Stato è presente». In effetti da Maria Antonietta a Luigi XIV il passo è breve, ma il ministro dovrebbe sapere che dopo i mesi di sospension­e sarà necessario notificare migliaia di avvisi alle parti e ai difensori per fissare nuovamente le udienze, paralizzan­do a tempo indetermin­ato i processi. Soprattutt­o, dovrebbe spiegare perché l’emergenza giustifica la sospension­e dei diritti dei cittadini, ma non procedure d’urgenza e finanziame­nti straordina­ri per ripristina­re le regole della civile convivenza, che della giustizia penale proprio non può fare a meno. Uno Stato che sospende la giurisdizi­one ordinaria non è uno Stato. Qualcuno lo spieghi, al ministro della Giustizia.

Il metro di paragone

Come se, a causa dei tempi lunghi, le liste d’attesa nella sanità venissero abolite o a scuola si andasse in vacanza per un anno

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